“La sedia della riflessione” aiuta davvero a riflettere?

Certo, la sedia è comoda, come pure lo è il retro della lavagna

Zero complicazioni e mio scarso impegno.

Affido, a te bambino, al tuo personalissimo senso di colpa, la parte che spiega come comportarsi, intanto che io mi dedicherò ad altro compito.

Proviamo invece a nominarla per come dovrebbe essere: La sedia del pensare è una forma di punizione, edulcorata nel termine.

Dire ad un bambino in quell’età compresa tra la fascia nido e scuola dell’infanzia, di sedersi a riflettere, è totalmente inutile.

È inutile anche successivamente, ma nella mente di un bambino di otto anni le emozioni assumono un significato più chiaro.

I bambini hanno bisogno di un adulto che li accompagni, che elabori con loro quanto accaduto.

Un bambino lasciato solo, o davanti ai propri compagni, o ancora in un angolino, è dannoso; la dignità del bambino fortemente a repentaglio.

E’ un strumento di umiliazione vero e proprio.

“Io sono l’adulto e sono più forte di te” è il messaggio che inviamo.

Ma cosa fa pensare a molti genitori/ educatori/ maestri, che possa essere uno strumento utile? La risposta è nella parola “riflessione”.

I bambini necessitano di essere aiutati a sviluppare una sufficiente capacità di regolazione delle proprie emozioni, isolarli non è il sistema per aiutarli nei momenti difficili.

I bambini necessitano di un adulto che fornisca contenimento, rassicurazione, rispecchiamento emotivo.

Quando vengono lasciati soli, essi restano privi di quella regolazione di cui hanno bisogno, sia per calmarsi sia per imparare, nel tempo, l’autoregolazione.

Questa mancanza produce maggiore insicurezza ed aumento del livello di frustrazione.

Il bambino a quattro anni non sa cosa significhi anche solo la parola riflessione.

Cosa avrà imparato, dunque? Nulla, se non che riflettere è brutto e umiliante.

Dietro alcuni comportamenti difficili di alcuni bambini si nascondono momenti di fatica. Il loro comportamento ci parla forse di un disagio o di uno stato d’euforia.

Non esistono comportamenti cattivi. Non esiste nessun comportamento problema, ma i cattivi comportamenti sono messaggi, espressioni di quella fatica o dell’incontrollato dinamismo.

Magari agiscono nell’unico modo in cui sanno che riceveranno attenzioni, anche se sono attenzioni diverse dall’accoglimento, come sgridate o punizioni.

La strada migliore è condividere, stare accanto al bambino, insomma esserci.

Non nascondiamoci dietro all’idea delle classi numerose, perché un ambiente ben organizzato ti permette di spostarti per poter aiutare il singolo bambino in un momento di grande difficoltà.

Richiede più energie, un buon lavoro di squadra, ma non è impossibile.

E quando parlo di squadra, penso ai genitori che in educazione dovrebbe viaggiare sullo stesso binario, percorrendo il medesimo obiettivo.

@lacicognanonmihadetto @uncafféconsara

Una madre e prima di tutto una persona. Questione di priorità

Preparati, la tua vita cambierà”.

Questa è la frase che fa seguito alle felicitazioni per l’arrivo di un figlio. L’abbiamo udita tutte noi madri almeno una volta, in famiglia, fra gli amici, al lavoro.

Ho guardato le risposte ai sondaggi che ho proposto; varie, differenti, ognuna a rappresentare grandi, piccole priorità; perché è proprio di questo che si tratta, ovvero di un “cambiamento” nell’ordine delle priorità personali che la nascita di un bambino rimescola, ribalta, cancella o pone in sospensione.

Ognuna di noi, prima di essere madre, é una persona con interessi diversi, ambizioni più o meno marcate, aspettative…tantissime.

Fate caso al fatto che non si parla già di “persona” affrontando l’argomento, ma di donna e dunque di madre, come se dietro questa nostra identità la persona non fosse mai contemplata, o se lo fosse, davvero poco.

Da quando sono diventata madre, la vita mi è apparsa più morbida, più ampia, come se ciò che ogni giorno faccio avesse adesso una diversa dimensione, una ulteriore dimensione dalla quale posso assaporare quell’essenza alle priorità, che ovviamente restano le mie di sempre, ma su piani differenti.

La cura del corpo, la femminilità vanno curate sempre, ma non è l’unica cosa che a me manca in termini di tempo.
L’idea negativa della donna che non più torna in forma smagliante, che trascura se stessa, sembra essere un pensiero che accompagna molto più le donne nei confronti di altre donne, stereotipando.

Prenditi cura di te stessa e vai a farti bella”!

Non già:

Cosa ti manca come persona”?

A me manca potere sedere in silenzio e leggere un libro tutto d’un fiato. Amo leggere, e non mi piace essere interrotta, ma la sera sono troppo stanca per immergermi in letture che mi accompagnerebbero fino al mattino. E vorrei essere padrona del mio tempo per poter decidere che a mezzodì, invece che preparare il pranzo, possa sedere in poltrona e leggere ciò che più mi piace. Mi manca pensare, restare in silenzio e perdermici dentro. Scrivere senza dover rileggere cento volte ciò che ho scritto, perché interrotta o distratta.

Sono sicuramente una donna migliore da quando è nato mio figlio, e una donna nuova, differente perché madre, ma del tutto simile a prima in quanto individuo.

Non ero pronta a dar credito alla frase sul cambiamento che faceva seguito alle molte felicitazioni sulla maternità. La vita cambia, ma non nell’essere; nei modi e nei tempi sì.

La magia sta forse in questo: restando chi si era, immaginare le proprie passioni e antiche priorità come un tesoro un po’ nascosto da riscoprire pian piano, e assieme al proprio bambino ridarne senso e importanza. Ma pian piano…appunto.

Cos’è la Learning Tower

Ultimamente si sente spesso parlare della Learning Tower, cioè la torre dell’apprendimento L’argomento mi ha molto incuriosita ed ho voluto approfondire.

La Learning Tower , cos’é?

Potremmo definirla una scaletta con pedana per raggiungere la cima ed evitare cadute. Di per se è un elemento molto semplice ma utile per rendere i bimbi indipendenti. Il suo scopo è poter permettere ai più piccoli, la possibilità di raggiungere anche i mobili più alti, a volte inaccessibili.

Inoltre é il supporto giusto per rendere i bambini il più possibile autonomi. Potranno lavarsi le mani da soli nel lavandino e potranno aiutare la mamma a preparare la cena, molto utilizzata per coinvolgere i bambini nelle attività di cucina, diventerà un piacere preparare la cena o tanti dolci.

Perché utilizzarla ?

• è un modo sicuro per dare la possibilità ai nostri piccoli bambini di stare alla nostra altezza.

• Con la Learning Tower hanno modo di accedere agli scaffali più alti e soddisfare la voglia di arrampicarsi, una delle cose più attraenti per un bimbo alla scoperta delle sue potenzialità motorie.

• la Learning Tower è facilmente accessibile e soprattutto gli regala un solido equilibrio che con una sedia normale o uno sgabello non è neanche lontanamente immaginabile.

• vederli salire e scendere in maniera del tutto autonoma, regala loro un’autostima e una consapevolezza maggiore dei propri mezzi, in una fase della loro vita in cui sono perennemente alla scoperta di cose nuove.

A che età si usa una Learning Tower?

Una Learning Tower si inizia ad usare nella fase successiva ai primi passi quando il bambino ha una sua stabilità e inizia ad arrampicarsi. Il metro di misura? una volta che il bambino riuscirà con successo nella scalata del divano di lì a poco sarà pronto per approcciare alla Learning Tower, più o meno dei 18 mesi di età .

E sarà un oggetto che potranno utilizzare a lungo fino ai 6 anni.

Alcuni modelli

Learning Tower

Letture consigliate 

I Colori delle emozioni – Libro

Anna Llenas
Che cos’ha combinato il mostro dei colori? 
Le emozioni: un groviglio a volte difficile da disfare . 

Considerare come giuste o sbagliate le emozioni è un errore, esse sono semplicemente emozioni.

La tristezza e la gioia, la rabbia e l’amore, possono coesistere, e sono tutte parti della collezione di esperienze emotive dei bambini. Quando aiuti il tuo bambino a capire le proprie emozioni, stai fornendo gli strumenti utili per una gestione efficace.

Questo simpatico libro pop-up ci aiuterà a collocarle, ognuna col proprio colore, nel giusto barattolino…da aprire all’occorrenza!

Adatto da 0-5 anni

Buona lettura!!

L’albero dei ciucci

Esiste una tradizione danese, nota anche in molti altri Paesi dell’Europa settentrionale, secondo la quale per dire addio al ciuccio, il bambino lo appenda al ramo di un albero, ma non un albero qualunque, bensì “l’albero dei ciucci”.
È una tradizione molto bella perché fornisce un luogo nel quale andare con i propri genitori ad effettuare un rito di passaggio. Togliere il ciuccio non è un’operazione semplice e la creazione di un rituale può quindi essere di grande aiuto. 
Ma quando è ora di togliere il ciuccio? 
Di norma, attorno ai 24 e i 36 mesi. 
Perché è importante che ciò avvenga? 
Innanzi tutto perché superati i tre anni le possibilità che l’uso del ciuccio causi deformazioni al palato e vi sia inoltre una crescita anomala dell’osso mascellare è molto alta.

In secondo luogo perché ritarderebbe il superamento alla fase orale, ovvero a quella della suzione quale risoluzione alle emozioni che invece andrebbero ora espresse, esternate, rese chiare dal linguaggio.
Un consiglio prima di affrontare questa delicata fase della crescita, sarebbe quello d’avere l’accortezza nel non far coincidere lo stesso con altri cambiamenti importanti, quali per esempio la nascita di un fratellino, un trasloco o l’inizio della scuola materna. 

Si scelga un momento della vita del bimbo nel quale goda di buona salute e sia sereno. 

Un modo per disabituare gradualmente il bambino sarebbe quello del limitarne l’utilizzo consapevolmente. Le limitazioni andrebbero concordate assieme, proponendo di utilizzarlo solo in alcuni momenti della giornata e di notte. 
Prima di effettuare questo vero e proprio rito di passaggio il genitore deve essere certo di voler attuare il cambiamento per non generare confusione nel bambino, quindi rendere ancora più arduo il compito nel futuro.
Nei giorni immediatamente successivi al primo, potrebbe essere d’aiuto impegnarlo più del solito perché si distragga dal pensiero del ciuccio. Coinvolgerlo in attività piacevoli, magari consentendogli di sperimentare nuove piccole esperienze “…ora che sei diventato grande, aiuti la mamma a fare i biscotti e la pizza!”, oppure l’utilizzo di materiali nuovi per le attività creative, potrebbe ancora essere la strada migliore e la più arricchente al contempo.

Il permesso di essere diverso. I gesti e le parole che ci fanno stare bene.


Parliamo molto spesso delle tappe evolutive del bambino ma come possiamo agire per nutrirlo attraverso carezze negative o positive?  
Il bambino afferma la propria autonomia ma prima deve separarsi e creare una sua identità.Ma cosa vuol dire quando utilizziamo il termine SEPARAZIONE. 

Con “separazione” indichiamo lo stadio in cui il bambino sente di essere diverso e noi gli diamo il permesso di pensare e sentire diversamente da noi. Dai diciotto ai tre anni il bambino si lancia all’esplorazione dell’ambiente sociale. Il suo agire a volte diviene provocatorio, in questa fase si acquisisce la capacità di controllare gli sfinteri e di riconoscere lo stimolo. Questo sotto l’aspetto psicologico determina la differenza fra sé e l’altro e la nascita di una propria identità. Siamo nella fase del ” NO”. Il bambino cerca di affermare la propria indipendenza ma anche la scoperta dei limiti che i genitori pongono. Possiamo aiutarlo ad esprimere le proprie emozioni, di essere diverso e separato dagli altri familiari. L’attività verbale si consolida e il bambino può essere invogliato ad utilizzare un pensiero logico. Le regole saranno fondamentali non rinunciando però all’accettazione incondizionata. Se il bambino in un momento oppositivo butta tutti i giocattoli fuori dalla cesta, anziché dirgli :perché butti tutto in giro? Sei cattivo!! , ( carezza negativa incondizionata); sarà piuttosto il caso di dire con fermezza : chi mette in disordine deve riordinare , questa volta lo faremo insieme, ( carezza negativa condizionata che pone una regola e stabilisce una causa-effetto) 

Il compito dell’adulto è di sostenere e indirizzare la crescita all’interno di un clima famigliare sereno . 

Lo spannolinamento, a piccoli passi verso l’autonomia.

È giunto il momento di togliere il pannolino ci troviamo tra i 18 e i 28 mesi, i genitori fieri e motivati arrivano a questo giorno non privi di ansie e dubbi , sarà veramente pronto?si chiedono spesso.

Dubbi legittimi, essendo questo un momento della fase dello sviluppo del bambino molto delicato e determinante alla gestione della propria persona. Proprio per questo ci si interroga come adulti se si è veramente capaci di sostenerli.
Riuscirò ad accompagnarlo in questo momento di grande conquista verso l’autonomia ? 


( foto dal web) 

Nelle fasi di sviluppo del bambino intorno ai 12-14 mesi ha inizio un processo di mielinizzazione delle fibre nervose che prelude a quello del controllo sfinterico.  

Per mielinizzazione in medicina si intende la maturazione ultima del sistema nervoso centrale per una più veloce ed efficiente veicolazione dell’informazione. Il controllo sfinterico si acquisisce attraverso la comprensione da parte del bambino di ciò che succede nel proprio corpo e attraverso un esercizio ripetuto e costante dell’azione. 

Per quello che riguarda gli aspetti fisiologici dei bambini, noi adulti dovremmo essere degli attenti osservatori, mettendoci dalla parte del bambino.

Più gli diamo fiducia più la situazione sarà agevole. Diversamente quando l’adulto spinge, decidendo in autonomia i tempi del passaggio, senza considerare i segnali del bambino, crea in questi,resistenza. Gli aspetti fisiologici come il cibo e il controllo degli sfinteri, sono aspetti attraverso i quali il bambino ha pieno dominio del proprio corpo, può pertanto decidere se mangiare o no, defecare o meno.

È fondamentale la serenità dell’adulto di fronte a questo passaggio evolutivo. Più l’adulto,insiste, più il bambino ritarda e si oppone.

Fondamentale è osservare i segnali:

⁃ Linguaggio

⁃ Sviluppo autonomie ( vestirsi e svestirsi da solo)

⁃ Maturazione fisiologica del controllo degli sfinteri ( il bambino diventa maturo, inizia a percepire dei cambiamenti fisiologici, scoprendo una nuova sensazione corporea. Comunica che arriva la pipì o la cacca o subito dopo o subito prima)

⁃ Volontà e desiderio del bambino di crescere e diventare grande.

⁃ Dirada durante la giornata i momenti di pipì . Il pannolino non risulterà sempre pieno, sopratutto nel pisolino pomeridiano.

-Distingue pipì e cacca, conosce ed utilizza correttamente le parole corrispondenti;

-Avvisa l’adulto della necessità di espletare i propri bisogni.

Alcuni spunti di riflessione 

Importante e determinante per la serenità di tutti non attuare forzature ma seguire i tempi del bambino. Più insisto più il bambino resiste.

Essere il suo sostegno emotivo per aiutarlo a rinforzare emotivamente questa conquista. Predisporre un ambiente pensato, il vasino sin dai primi momenti, va tenuto in bagno,non davanti la tv, metterci accanto dei libri e sopratutto esserci per lui.

Per aiutare il bambino ad acquisire l’autonomia necessaria diamogli dei vestiti comodi, facili da sbottonare e sfilare. Meglio evitare quindi body, vestiti con chiusure sulla schiena o difficilmente raggiungibili dal bambino.

Preferite quindi vestiti elastici, morbidi, semplici da gestire e quando il vostro bambino manifesterà il bisogno di recarsi in bagno non sostituitevi a lui: dopo avergli mostrato le azioni da compiere per raggiungere il risultato finale lasciate che si spogli da solo, che si sieda e che rimanga seduto per tutto il tempo necessario, senza pressioni e senza fretta. 
Anche in questo caso le routine risultano essere fondamentali. Sottoporlo a continue domande sul andare al bagno potrebbe suscitare stress e ansia nel bambino. Piuttosto sosteniamolo abituandolo a recarsi in bagno prima e dopo momenti come il riposo o il pasto, prima e dopo essere usciti di casa, prima e dopo il nido.

Conclusione 

Non esiste una formula precostituita valida per tutti, ogni bambino ha la propria peculiarità ed è importante rispettarla senza forzature e grosse pretese, necessarie solo a noi e non a lui.

Sarà il bambino a suggerirci il momento giusto e a noi spetterà solo il compito di agevolare rispettando i suoi bisogni e sopratutto i suoi tempi.  

Se riteniamo dopo vari tentativi che il bambino non è ancora pronto sul piano emotivo, è giusto fare un passo indietro senza creare forzature che potrebbero rallentare l’intero processo.

Chi non comprende che insegnare a un bambino a mangiare, a lavarsi e vestirsi, è lavoro ben più lungo, difficile e paziente che non imboccarlo, vestirlo, lavarlo?