“La sedia della riflessione” aiuta davvero a riflettere?

Certo, la sedia è comoda, come pure lo è il retro della lavagna

Zero complicazioni e mio scarso impegno.

Affido, a te bambino, al tuo personalissimo senso di colpa, la parte che spiega come comportarsi, intanto che io mi dedicherò ad altro compito.

Proviamo invece a nominarla per come dovrebbe essere: La sedia del pensare è una forma di punizione, edulcorata nel termine.

Dire ad un bambino in quell’età compresa tra la fascia nido e scuola dell’infanzia, di sedersi a riflettere, è totalmente inutile.

È inutile anche successivamente, ma nella mente di un bambino di otto anni le emozioni assumono un significato più chiaro.

I bambini hanno bisogno di un adulto che li accompagni, che elabori con loro quanto accaduto.

Un bambino lasciato solo, o davanti ai propri compagni, o ancora in un angolino, è dannoso; la dignità del bambino fortemente a repentaglio.

E’ un strumento di umiliazione vero e proprio.

“Io sono l’adulto e sono più forte di te” è il messaggio che inviamo.

Ma cosa fa pensare a molti genitori/ educatori/ maestri, che possa essere uno strumento utile? La risposta è nella parola “riflessione”.

I bambini necessitano di essere aiutati a sviluppare una sufficiente capacità di regolazione delle proprie emozioni, isolarli non è il sistema per aiutarli nei momenti difficili.

I bambini necessitano di un adulto che fornisca contenimento, rassicurazione, rispecchiamento emotivo.

Quando vengono lasciati soli, essi restano privi di quella regolazione di cui hanno bisogno, sia per calmarsi sia per imparare, nel tempo, l’autoregolazione.

Questa mancanza produce maggiore insicurezza ed aumento del livello di frustrazione.

Il bambino a quattro anni non sa cosa significhi anche solo la parola riflessione.

Cosa avrà imparato, dunque? Nulla, se non che riflettere è brutto e umiliante.

Dietro alcuni comportamenti difficili di alcuni bambini si nascondono momenti di fatica. Il loro comportamento ci parla forse di un disagio o di uno stato d’euforia.

Non esistono comportamenti cattivi. Non esiste nessun comportamento problema, ma i cattivi comportamenti sono messaggi, espressioni di quella fatica o dell’incontrollato dinamismo.

Magari agiscono nell’unico modo in cui sanno che riceveranno attenzioni, anche se sono attenzioni diverse dall’accoglimento, come sgridate o punizioni.

La strada migliore è condividere, stare accanto al bambino, insomma esserci.

Non nascondiamoci dietro all’idea delle classi numerose, perché un ambiente ben organizzato ti permette di spostarti per poter aiutare il singolo bambino in un momento di grande difficoltà.

Richiede più energie, un buon lavoro di squadra, ma non è impossibile.

E quando parlo di squadra, penso ai genitori che in educazione dovrebbe viaggiare sullo stesso binario, percorrendo il medesimo obiettivo.

@lacicognanonmihadetto @uncafféconsara

I “capricci”esistono per davvero?

Il capriccio è un argomento molto dibattuto. Ma esiste poi davvero il capriccio?

Quante volte ci è capitato di assistere a scene di bambini piangenti, urlanti e saltellanti come se il mondo avesse fatto loro la più grossa delle crudeltà?

Iniziamo dicendo che è un comportamento fisiologico che si manifesta sopratutto nei bambini al di sotto dei tre anni.

I bambini in questa fase vivono un turbinio di emozioni che faticano a gestire o comprendere.

Il capriccio può essere però senza dubbio definito, fra i comportamenti fisiologici, una vera e propria crisi di rabbia.

Risulta essere più intenso quanto più si è vicini al diciottesimo mese di vita, per pian piano perdere di intensità verso i tre anni e mezzo.

In questo momento evolutivo, il bambino inizia a individuarsi, raggiungendo una consapevolezza di sé maggiore, differenziandosi dall’altro. Acquisisce una nuova contezza, sia fisica che mentale, imponendo il proprio volere, contrapponendolo in difesa delle proprie ragioni.

Non stiamo parlando, come erroneamente accade, di manipolazione dell’adulto; semplicemente, questi esercita la propria autonomia, sperimentandola attraverso i no e le opposizioni, facendo in modo che vada delineando la propria personalità.

Non possiamo immaginare un percorso differente per la creazione di personalità se non attraverso l’opposizione e la messa in discussione.

Il bambino ha diritto di opporsi, e l’adulto non può far altro che accogliere questa sua opposizione, restituendo il senso del “Comprendo che adesso non hai voglia di fare questa determinata cosa, ma dobbiamo proprio farla”.

In questo modo preserviamo la capacità del bambino di dire no, affermandosi nel percorso di crescita.

Gli adulti incapaci a dire di no, non furono bambini educati in tal senso.

Preservare nel bambino questa capacità, considerandola da una giusta posizione, aiuta anche noi adulti a non porre questa opposizione su di un piano personale.

Capita di non sentirsi ascoltati dal bambino, che fa dunque “ciò che vuole”, ma questo rimando riguarda la nostra vita interiore e non il bambino opponente. Pretendere di risanare le nostre ferite attraverso un atteggiamento accondiscendente da parte del bambino, comporta una sottrazione di personalità, una elemosina d’amore: asseconderà il nostro desiderio, il nostro imperativo, pur di ricevere l’amore che da noi soli può giungere, a discapito di sé stesso e del suo sentire.

Se poi si pretende che attraverso il bambino accondiscendete si possa affermare una qualunque capacità genitoriale, si vuol caricare il bambino di una forte responsabilitá che non gli compete.

Invece, sarà compito dell’adulto, genitore/educatore, valutare se e quando un no possa essere assecondato o meno, o altrimenti aiutato a comprendere che quella determinata cosa non va proprio fatta, per la sua sicurezza (dare la mano attraversando la strada) o per educazione (non spingere il compagno di giochi).

Durante una crisi di rabbia il bambino si disgrega, fatica tenere assieme le parti di sé. Il dolore che prova è reale, non avendo la capacità di gestire da solo questo stato emotivo.

Il bambino, in età prescolare, non avendo ancora sviluppato altre capacità cognitive, sociali, relazionali, tende a manifestare le proprie espressioni di rabbia a livelli molto primordiali. Ciò accade soprattutto in famiglia, perché è l’ambiente che percepisce fiducioso alle relazioni.

Crescendo, e con l’acquisizione di competenze anche linguistiche, il bambino inizierà a spiegare ciò che sente e prova, e sarà più semplice per lui dare un senso alle cose che gli accadono attorno.

Nella gestione di queste crisi è buona regola il prevenirle. Osservare il proprio bambino, cercare di individuare quali sono le circostanze che possano scatenare certe situazioni, questo vi aiuterà certamente a farne fronte. Molto spesso le crisi avvengono quando un bambino è stanco o stressato, quando è stato esposto a troppi stimoli; ecco allora che ridimensionando l’ambiente, gli stimoli, le necessità fisiche come il sonno o la quiete, permetterà un controllo efficace alle emozioni, dal bambino altrimenti ingovernabili.

E quando ormai la crisi è innescata, è utile supportare il bambino attraverso il rispecchiamento emotivo: “So che vorresti continuare a giocare, ma adesso è ora di andare a riposare”.

Sostenerlo emotivamente lo aiuterà a calmarsi, così come lo stargli vicino, affinché il piccolo non si senta lasciato solo in un momento di grande bisogno, anche se la regola o la negazione è dettata da noi stessi. Essere dunque compreso, accettato ed amato in modo incondizionato, dirà al bambino che l’amore dei genitori è più forte e potente delle intense sue emozioni, ma anche che il momento va affrontato, e possibilmente accettato, perché è altro dal rapporto che intercorre fra i soggetti.

“Quando rispecchiate i sentimenti di un bambino diminuite l’intensità della sua rabbia, perché egli si sentirà soddisfatto nel sapere che è al centro della vostra attenzione, e che dunque è stato compreso.”  M.L. Brenner

Concludiamo dicendo che il capriccio in realtà non esiste; è solo un messaggio, comunicato a noi adulti, di aiuto e supporto e sostegno, di attenzione.

È desiderio di essere visti e compresi.

Ricordiamoci, come abbiamo detto all’inizio, che il capriccio è un processo fisiologico che non durerà per sempre, è che come lo affronterà, e cosa riuscirá ad apprendere, dipenderà molto da noi adulti.

Cos’è la Learning Tower

Ultimamente si sente spesso parlare della Learning Tower, cioè la torre dell’apprendimento L’argomento mi ha molto incuriosita ed ho voluto approfondire.

La Learning Tower , cos’é?

Potremmo definirla una scaletta con pedana per raggiungere la cima ed evitare cadute. Di per se è un elemento molto semplice ma utile per rendere i bimbi indipendenti. Il suo scopo è poter permettere ai più piccoli, la possibilità di raggiungere anche i mobili più alti, a volte inaccessibili.

Inoltre é il supporto giusto per rendere i bambini il più possibile autonomi. Potranno lavarsi le mani da soli nel lavandino e potranno aiutare la mamma a preparare la cena, molto utilizzata per coinvolgere i bambini nelle attività di cucina, diventerà un piacere preparare la cena o tanti dolci.

Perché utilizzarla ?

• è un modo sicuro per dare la possibilità ai nostri piccoli bambini di stare alla nostra altezza.

• Con la Learning Tower hanno modo di accedere agli scaffali più alti e soddisfare la voglia di arrampicarsi, una delle cose più attraenti per un bimbo alla scoperta delle sue potenzialità motorie.

• la Learning Tower è facilmente accessibile e soprattutto gli regala un solido equilibrio che con una sedia normale o uno sgabello non è neanche lontanamente immaginabile.

• vederli salire e scendere in maniera del tutto autonoma, regala loro un’autostima e una consapevolezza maggiore dei propri mezzi, in una fase della loro vita in cui sono perennemente alla scoperta di cose nuove.

A che età si usa una Learning Tower?

Una Learning Tower si inizia ad usare nella fase successiva ai primi passi quando il bambino ha una sua stabilità e inizia ad arrampicarsi. Il metro di misura? una volta che il bambino riuscirà con successo nella scalata del divano di lì a poco sarà pronto per approcciare alla Learning Tower, più o meno dei 18 mesi di età .

E sarà un oggetto che potranno utilizzare a lungo fino ai 6 anni.

Alcuni modelli

Learning Tower

L’albero dei ciucci

Esiste una tradizione danese, nota anche in molti altri Paesi dell’Europa settentrionale, secondo la quale per dire addio al ciuccio, il bambino lo appenda al ramo di un albero, ma non un albero qualunque, bensì “l’albero dei ciucci”.
È una tradizione molto bella perché fornisce un luogo nel quale andare con i propri genitori ad effettuare un rito di passaggio. Togliere il ciuccio non è un’operazione semplice e la creazione di un rituale può quindi essere di grande aiuto. 
Ma quando è ora di togliere il ciuccio? 
Di norma, attorno ai 24 e i 36 mesi. 
Perché è importante che ciò avvenga? 
Innanzi tutto perché superati i tre anni le possibilità che l’uso del ciuccio causi deformazioni al palato e vi sia inoltre una crescita anomala dell’osso mascellare è molto alta.

In secondo luogo perché ritarderebbe il superamento alla fase orale, ovvero a quella della suzione quale risoluzione alle emozioni che invece andrebbero ora espresse, esternate, rese chiare dal linguaggio.
Un consiglio prima di affrontare questa delicata fase della crescita, sarebbe quello d’avere l’accortezza nel non far coincidere lo stesso con altri cambiamenti importanti, quali per esempio la nascita di un fratellino, un trasloco o l’inizio della scuola materna. 

Si scelga un momento della vita del bimbo nel quale goda di buona salute e sia sereno. 

Un modo per disabituare gradualmente il bambino sarebbe quello del limitarne l’utilizzo consapevolmente. Le limitazioni andrebbero concordate assieme, proponendo di utilizzarlo solo in alcuni momenti della giornata e di notte. 
Prima di effettuare questo vero e proprio rito di passaggio il genitore deve essere certo di voler attuare il cambiamento per non generare confusione nel bambino, quindi rendere ancora più arduo il compito nel futuro.
Nei giorni immediatamente successivi al primo, potrebbe essere d’aiuto impegnarlo più del solito perché si distragga dal pensiero del ciuccio. Coinvolgerlo in attività piacevoli, magari consentendogli di sperimentare nuove piccole esperienze “…ora che sei diventato grande, aiuti la mamma a fare i biscotti e la pizza!”, oppure l’utilizzo di materiali nuovi per le attività creative, potrebbe ancora essere la strada migliore e la più arricchente al contempo.

Lettone sì o lettone no? 


Chiunque genitore ad un certo punto della crescita del proprio figlio si è trovato di fronte al cruciale dilemma: “Lettone sì o lettone no?”. Già verso il settimo/ottavo mese, il bambino diventa ben consapevole del posto che occupa nel lettone e sarà molto più difficile, a partire da quel tempo, che dorma volentieri da solo in un proprio letto.

Il bambino crescendo prende fra i genitori un posto sempre maggiore, sentendo il dormire in mezzo a loro un suo pieno diritto D’altro canto non aiuta il bambino nello sviluppo delle sue prime indipendenze.

La natura ci suggerisce qualcosa di molto importante,come gli uccelli quando hanno messo le piume spingono i loro pulcini fuori dal nido o i mammiferi portano fuori dalla tana all’aperto i loro piccoli, così anche nella specie umana bisogna capire il momento opportuno per stabilire i reciproci spazi di vita.

 Proviamo a pensare allo sviluppo del bambino, osservandolo riceveremo una prima risposta per favorire il processo verso l’indipendenza. 

È molta diversa la situazione tra un bambino nutrito esclusivamente con latte materno e il bambino che, pochi mesi dopo, comincia a mangiare con il cucchiaio, bere da solo con un piccolo bicchiere, giocare con vivo interesse,aprire e chiudere uno sportello, lanciare un oggetto e riprenderlo e così via. Forse ha già i primi dentini e sta seduto con sicurezza, altri segnali di nuove indipendenze acquisite: “Non sono più un piccolissimo” sembra dire ed è in questo periodo che dovrebbe addormentarsi nel proprio lettino.

D’altronde, dormire nel lettone sembra un’abitudine innocua, che non porta con sé conseguenze nocive.

Ma il letto matrimoniale è un luogo proprio della coppia, dove si passano momenti di intimità, che possono venir meno nel momento in cui il bambino dorme con i genitori. Allo stesso tempo, spesso il sonno notturno può essere disturbato dalla presenza del bambino, soprattutto se fatica ad addormentarsi o si muove durante la notte.

Per i bambini, inoltre, andare a dormire rappresenta il momento di separarsi, l’abbandono totale, il momento più delicato, che spesso porta con sé sentimenti di ansia, paura , proprio per questo i bambini diventano così insistenti nel fare questa richiesta ai genitori, i quali spesso non riescono a non cedervi.

Sicuramente la cosa migliore da fare sarebbe quella di far prendere l’abitudine al bambino di addormentarsi nel suo lettino fin da piccolo, facendogli comprendere l’importanza di avere uno spazio tutto per sé ,magari dopo aver passato del tempo insieme prima di prendere sonno, coccole, una lettura sono sempre ben accette. 
Qualche strategia per intervenire concretamente

Come fare, dunque, se il bambino ha adottato questa abitudine e ora, che è più grandicello, si rifiuta di addormentarsi da solo? 

La soluzione non è certo espropriare , solitamente il padre del letto matrimoniale, rilegandolo in un lettino piccolo , a volte anche di un colore che poco gli si addice. 

Il primo aspetto molto importante è quello di spiegare al bambino, se è in un etá che può capire , la regola del dormire nel proprio letto. Deve essere trasmesso il messaggio che addormentarsi nella propria cameretta non è una punizione, ma è una buona abitudine, che deve diventare per il bambino qualcosa di positivo e gratificante.

Prima di addormentarsi può essere una buona pratica quella di leggere una storia insieme, cantare una filastrocca o passare un po’ di tempo con il proprio figlio, questa è una pratica adottabile sin da piccoli. E’ importante mantenere delle abitudini rispetto alle cose da fare prima di addormentarsi: mettersi il pigiama insieme, lavarsi i dentini e così via. In questo modo il bambino si abitua mentalmente all’idea che è il momento di andare a nanna.

Se dormire nel proprio letto è un incubo per il piccolo, rassicuratelo, con una lucina accesa o la porta aperta. In questo modo, mamma e papà possono sentire se ha bisogno e rassicurarlo al momento del bisogno.

E’ importante, inoltre, cercare di rendere questo luogo accogliente, 

Preparare l’ambiente insieme in modo che il bambino lo senta come uno spazio suo, un luogo rassicurante . 

Se il bambino dovesse svegliarsi, la cosa migliore è quella dirigersi nella sua stanza, prendendosi un po’ di tempo per stare ancora insieme, magari leggendo un’altra favola; è importante non cedere nella tentazione di accettare di farlo venire nel lettone. Spesso ci si dice che è “solo per questa volta”, ma il messaggio che viene trasmesso al bambino è che, insistendo, può ottenere di non dormire da solo, questa è una regola che va estesa a tutte le cose che il bambino insistentemente chiede durante la giornata , a volte si cede per sfinimento non per coerenza .

Che gli riesca facilmente, è tutto merito dei suoi che hanno saputo condurre le cose adagio, secondo i suoi modi e i suoi tempi. Ogni passaggio, a questa età, non può che avvenire lentamente, sapendo che, se effettuato tardi, oltre l’8 o 9 mese, potrà presentare difficoltà e richiederà maggiore lentezza.

Provate a guardare l’obiettivo a lungo termine. Riflettiamo su questi aspetti per prevenire alcune abitudini con buon senso e rispetto per il bambino. 

Buon Lavoro!!! 

Un nido per amico

AMBIENTAMENTO

Periodo inteso per le famiglie alle prese con un passaggio importante nella storia di vita di ogni bambino. L’entrata al nido lo condurrà   in un  viaggio all’indipendenza e alla conquista delle sue capacità più profonde .

I dubbi che spesso i genitori esprimono sono: sarà troppo piccolo , soffrirà , non capirà perché l’ho lasciato lì , sta meglio a casa con i nonni. 

Proviamo brevemente a rispondere a queste domande . 

Il concetto di troppo piccolo rappresenta forse più un bisogno dell’adulto di non staccarsi dal bambino. Le separazioni sono una tappa obbligata nella nostra vita, un sano attaccamento è indice di una serena separazione , senza traumi ne drammi, sarà naturale che il bambino pianga , il suo pianto andrà accolto non esasperato.  I nonni sono una favolosa risorsa, ma dovrebbero godere del nipote non stancarsi con esso, il piacere di stare assieme arriva dalla freschezza che i nonni possono apportare al piccolo , renderli prigionieri di un nipote non li renderà probabilmente efficaci nel loro ruolo. 

Passiamo alla parte tecnica per chierici le idee. 

Nei nidi con metodo montessori si parla di AMBIENTAMENTO e ACCOGLIENZA e non di inserimento; il bambino non viene infatti inserito in una situazione cui “deve abituarsi” né tantomeno si deve “adattare”, ma intendiamo un AMBIENTAMENTO attivo in senso biologico, psicologico, emotivo, sensoriale, cognitivo. “Ambientarsi equivale riconoscere l’ambiente come proprio: per il bambino conoscerlo e comprenderlo a poco a poco, scoprire gli spazi disponibili e gli oggetti che, dapprima sconosciuti, diventano via via familiari, accettare persone nuove – altri bambini, altri adulti . e infine la cosa fondamentale è riuscire a separarsi senza sofferenza dal familiare che lo accompagna al Nido. E’ un evento nuovo anche per il genitore, come lo è per l’educatore che incontra per la prima volta quel bambino, quella madre, una situazione non proprio tranquilla per tutti coloro che sono coinvolti.  

Il termine “accoglienza” denota calore, attenzione, riguardo. …….” “Un Nido per amico” Grazia Honegger Fresco”.

L’ambientamento per il bambino di qualsiasi età è di determinante importanza per quella che sarà la sua intera esperienza di vita al Nido.

“L’ambientamento è il luogo e il tempo in cui il bambino può sperimentare il volo dalle braccia materne a quelle amichevoli di sostituti ugualmente adeguati”.

La funzione delle educatrici è quella di costruire la relazione con il genitore e quella con il bambino.

Curare con particolare attenzione questo momento significa porre le basi di un processo di conoscenza tra bambini, educatrici e genitori che permetterà di affrontare con successo le diverse sfide evolutive cui bambini e bambine vanno incontro nel periodo di permanenza al Nido.

La fase dell’ambientamento è così articolata:

  •  l’affiancamento e la conoscenza da parte del educatore, madre- bambino 
  •  la preparazione di uno spazio adeguato;
  •  il porsi come figura di sostegno al genitore;
  •  l’individuazione del gioco e delle routine come occasione di costruzione di relazioni;
  •  l’utilizzo del gruppo di lavoro come risorsa per ogni suo membro;
  •  la definizione di che cosa osservare nella coppia mamma-bambino e nell’agito dei singoli.

 

Per ogni bambino è previsto un periodo di ambientamento-conoscenza che potrà variare da caso a caso e durante il quale è richiesta la presenza, accanto alle Educatrici, di un genitore o di un adulto di riferimento. Progressivamente diminuisce la presenza del genitore, che sarà comunque disponibile in caso di bisogno, mentre aumenta la vicinanza con le Educatrici.

Definiamo un ambientamento completato quando il bambino sarà capace d’affrontare tutte le routine della giornata al nido con serenità .

Rispettiamo i tempi dei bambini, mettiamoci in osservazione , rispettiamo la loro autonomia e il voler fare da soli, saranno loro a suggerirci come muoverci . 

Educazione all’indipendenza


Come è veramente il vostro bambino? Di che cosa ha bisogno? Come è possibile aiutarlo? La parola “veramente” che ci ha rimandato all’immagine montessoriana del bambino quale diamante ricoperto da scorie costituite da un ambiente inadeguato ai suoi bisogni psichici e fisici, dalla repressione, dall’incomprensione, dal disconoscimento delle sue specifiche modalità di apprendimento da parte dell’adulto. Una volta rimosse le scorie si è rivelato un “nuovo bambino” con capacità di concentrazione, calmo, disciplinato, laborioso, riflessivo, autonomo, gioioso, amante dell’ordine, osservatore ed esploratore dell’ambiente, sereno, curioso, con fiducia in se stesso.
Per comprendere meglio i sentimenti provati dal bambino, possiamo interrogarci sul modo in cui noi stessi ci sentiamo quando qualcuno ci mette fretta. Ci arrabbiamo? Sì, soprattutto quando ciò che stiamo facendo attiva tutte le nostre energie. Ecco, la reazione del bambino rispetto alle nostre richieste di fare velocemente, attiva frustrazione , che spesso definiamo capricci,quando invece il suo ritmo biologico è più lento di quello adulto; la lentezza è infatti il modo in cui il bambino si muove ottemperando alla sua natura. 

Come possiamo aiutarlo?

Importante è non mettergli fretta: “se gli è consentito di esplorare il suo mondo con calma, vostro figlio può imparare le cose al suo ritmo naturale. Analogamente, ha bisogno di avere il tempo necessario per fare le sue cose a modo suo, senza interferenze da parte degli adulti”. Pianificare le cose in anticipo in modo da non essere costretti a metterle fretta. Parlare con buon anticipo di un avvenimento, ad esempio, andare a fare la spesa, cosicché lei possa prepararsi da sola, con i suoi tempi”. Inoltre possiamo “cercare di dedicare ogni giorno un po’ di tempo a qualche attività da svolgere insieme e che sia piacevole e divertente per entrambi”. 
Mai che l’adulto si sostituisca al bambino, importante che lo aiuti alla via dell’indipendenza 
Innanzi tutto evitando di fare ogni cosa che i bambini possono fare da sé ed incoraggiandoli a svolgere le attività che sono capaci di fare.“Aiutarli ad imparare a camminare senza aiuto – suggerisce Maria Montessori – a correre, a salire e scendere le scale, a rialzare oggetti caduti, a vestirsi e a spogliarsi, a lavarsi, a parlare per esprimere chiaramente i propri bisogni, a cercare con tentativi di giungere al soddisfacimento dei loro desideri, ecco l’educazione dell’indipendenza”. 
“Non è assolutamente necessario – scrive Montessori nel 1923 in Il bambino in famiglia – che noi appariamo perfetti agli occhi dei bambini; invece è necessario riconoscere i nostri difetti ed accettare pazientemente le loro giuste osservazioni”. Essere modello del comportamento dei figli non equivale ad essere un modello di perfezione, quanto piuttosto a vivere con impegno, serietà ed onestà il proprio ruolo di genitori. Un ruolo che ognuno elabora con il tempo in seguito alle esperienze di vita personali, alla relazione quotidiana con i figli, al confronto rispettoso dell’individualità dell’altro.