I Bambini al centro dell’agire educativo

Per giungere a ciò che aspirava Maria Montessori, bisognava che il bambino operasse con le sue “deboli forze e con i suoi mezzi limitati”. (Montessori 1907).

Maria Montessori può essere considerata una grande rinnovatrice dell’educazione infantile partendo da quel concetto caro a Fröbel, che il bambino è un essere attivo, stimolato da forze interne, e lo scopo dell’educazione è di permettere il libero sviluppo di tali forze. Il pensiero della centralità del bambino fa sì che si discosti da tutti i metodi usati fino ad allora nella scuola italiana, ma non solo. La possibilità di osservare il mondo dell’educazione da punti differenti, le offrirono la convinzione che l’educazione dovesse agire a prescindere dalla provenienza geografica, perché ciò che accomunava tutti i bambini erano lo sviluppo cognitivo e le loro rispettive caratteristiche individuali.

Nasce così un nuovo modo di pensare l’educazione dei bambini e delle bambine; questi, se inseriti in un ambiente scientificamente predisposto, contenente stimoli adeguati al loro sviluppo, sono in grado di tirar fuori tutto il potenziale nascosto, fino al paradosso che in  un certo senso il bambino conosce meglio dell’adulto la via dello sviluppo.

La vita di ciascun essere umano è caratterizzata da importanti periodi di sviluppo. La centralità del bambino in educazione spinge Maria Montessori ad immaginare che  sin dalla nascita  del bambino stesso, come afferma nei suoi scritti, non è un essere vuoto, che deve a noi tutto ciò che sa e di cui l’abbiamo riempito. L’adulto si è sempre preso il merito dello sviluppo del bambino, senza pensare invece che il bambino ha grandi potenzialità dentro di sé, e per questo va rispettato. 

La Dott.ssa Montessori definisce questa centralità: “Educazione per un mondo nuovo”. Ogni bambino ha la sua individualità, tempi, e va riconosciuto per lo sviluppo del proprio sé, altrimenti l’apparenza si sostituisce all’essere. Se si vuole essere dei buoni educatori il primo lavoro è da fare su se stessi, cura di sé per poter aver cura dell’altro.

Montessori pensa ad un’educazione che sia in grado di rispettare e riferirsi a quello che in realtà la vita è in sé, ovvero energia cosmica nell’atto della creazione. Tutto l’universo è impegnato in un movimento continuo come se fosse una danza senza fine. In tutto questo movimento ad un certo punto arriva l’uomo che va considerato come il frutto di un lungo lavoro evolutivo. L’uomo fa parte di tutti i tasselli dell’universo e deve prendere coscienza del proprio posto, non può limitarsi ad osservare ma è chiamato a partecipare al mondo. Per Maria Montessori l’educazione è partecipare al mondo. La conoscenza è un co-nascere, nascere e continuo rinascere, rinnovarsi. Il nostro compito è cercare di penetrare i segreti dello sviluppo umano riconoscendo che fra le diverse stagioni della vita c’è un collegamento che va rispettato e protetto. Lo sviluppo umano prevede delle fasi caratterizzate da continuità e altre caratterizzate da discontinuità che si mobilitano alla ricerca di un equilibrio. E dunque  lo sviluppo dell’uomo non è mai lineare o senza dolore: ogni stagione vitale è un ciclo che si apre e si chiude con delle particolarità proprie.

Quale, in sostanza, l’innovazione portata da Montessori in campo educativo? Il suo metodo si basa fondamentalmente su due principi fondamentali: la centralità del bambino stesso nell’apprendimento, come già evidenziato, e il concetto di libertà. La “libertà favorisce la creatività del bambino che è già presente nella sua natura. Dalla libertà deve poi emergere la disciplina”.

Il bambino è accompagnato alle bellezze del mondo, senza che questi venga plasmato dall’adulto. Quando ci troviamo dinnanzi ad un bambino, è frequente volerlo indirizzare a seguire un percorso legato ai nostri bisogni, più che considerarlo come un’individualità separata da noi in tutto e per tutto. Quello che bisognerebbe ricordare come maestri sarebbe di porsi con una postura educativa rispettosa delle esigenze di ogni singolo bambino, volta alla scoperta delle sue potenzialità e della sua individualità. 

“La sedia della riflessione” aiuta davvero a riflettere?

Certo, la sedia è comoda, come pure lo è il retro della lavagna

Zero complicazioni e mio scarso impegno.

Affido, a te bambino, al tuo personalissimo senso di colpa, la parte che spiega come comportarsi, intanto che io mi dedicherò ad altro compito.

Proviamo invece a nominarla per come dovrebbe essere: La sedia del pensare è una forma di punizione, edulcorata nel termine.

Dire ad un bambino in quell’età compresa tra la fascia nido e scuola dell’infanzia, di sedersi a riflettere, è totalmente inutile.

È inutile anche successivamente, ma nella mente di un bambino di otto anni le emozioni assumono un significato più chiaro.

I bambini hanno bisogno di un adulto che li accompagni, che elabori con loro quanto accaduto.

Un bambino lasciato solo, o davanti ai propri compagni, o ancora in un angolino, è dannoso; la dignità del bambino fortemente a repentaglio.

E’ un strumento di umiliazione vero e proprio.

“Io sono l’adulto e sono più forte di te” è il messaggio che inviamo.

Ma cosa fa pensare a molti genitori/ educatori/ maestri, che possa essere uno strumento utile? La risposta è nella parola “riflessione”.

I bambini necessitano di essere aiutati a sviluppare una sufficiente capacità di regolazione delle proprie emozioni, isolarli non è il sistema per aiutarli nei momenti difficili.

I bambini necessitano di un adulto che fornisca contenimento, rassicurazione, rispecchiamento emotivo.

Quando vengono lasciati soli, essi restano privi di quella regolazione di cui hanno bisogno, sia per calmarsi sia per imparare, nel tempo, l’autoregolazione.

Questa mancanza produce maggiore insicurezza ed aumento del livello di frustrazione.

Il bambino a quattro anni non sa cosa significhi anche solo la parola riflessione.

Cosa avrà imparato, dunque? Nulla, se non che riflettere è brutto e umiliante.

Dietro alcuni comportamenti difficili di alcuni bambini si nascondono momenti di fatica. Il loro comportamento ci parla forse di un disagio o di uno stato d’euforia.

Non esistono comportamenti cattivi. Non esiste nessun comportamento problema, ma i cattivi comportamenti sono messaggi, espressioni di quella fatica o dell’incontrollato dinamismo.

Magari agiscono nell’unico modo in cui sanno che riceveranno attenzioni, anche se sono attenzioni diverse dall’accoglimento, come sgridate o punizioni.

La strada migliore è condividere, stare accanto al bambino, insomma esserci.

Non nascondiamoci dietro all’idea delle classi numerose, perché un ambiente ben organizzato ti permette di spostarti per poter aiutare il singolo bambino in un momento di grande difficoltà.

Richiede più energie, un buon lavoro di squadra, ma non è impossibile.

E quando parlo di squadra, penso ai genitori che in educazione dovrebbe viaggiare sullo stesso binario, percorrendo il medesimo obiettivo.

@lacicognanonmihadetto @uncafféconsara

La gentilezza è l’arma dei più forti (Stephen Littleword)

Il 13 Novembre è la giornata mondiale della gentilezza. Introdotta nel 1998 dal World Kindness Movement, è osservata in molti paesi, tra cui Canada, Giappone, Australia, Nigeria e Emirati Arabi Uniti.
Nella giornata mondiale della gentilezza si invita il mondo a mettere in evidenza le buone azioni nella comunità, concentrandosi sul potere positivo della gentilezza che lega gli uomini.

A partire dal 1998 si è diffusa in tutto il mondo. La bellezza dei piccoli gesti, la pazienza, la cura, l’ascolto dei bisogni degli altri senza perdere mai di vista i propri.

Di seguito alcuni libri sul tema

È facile essere gentili. È sufficiente dire grazie, regalare un sorriso, tendere la mano, condividere… Questo dolcissimo libro insegna che, se siamo gentili con gli altri, gli altri lo saranno a loro volta con noi. Etá di lettura 3 anni

Esistono delle parole che hanno il potere di far spuntare il sorriso. Sono parole magiche e sono talmente semplici che anche i più piccoli le possono imparare. Sono: buongiorno, per piacere, grazie, bravo, benvenuto, scusa, ti voglio bene, ti aiuto io. Sono le parole della gentilezza. Età di lettura: da 3 anni.

Un volume pensato per sensibilizzare i più giovani su importanti tematiche sociali, con un titolo che affronta in particolare il problema dell’egoismo, nelle sue molteplici forme e con le sue spesso terribili conseguenze. I ragazzi troveranno tra queste pagine 10 idee per correggere e migliorare i propri comportamenti in nome della gentilezza, per essere più aperti, inclusivi e rispettosi verso gli altri. A casa, a scuola, per strada… Per rendere il mondo un posto migliore, giorno dopo giorno. Età di lettura: da 7 anni.

La gentilezza custodisce il segreto per instaurare relazioni solide, autentiche, di fiducia, che ci aiutano a conseguire i risultati desiderati in tutti gli ambiti della nostra esistenza privata e sociale. Non ha niente a che vedere con la manipolazione né con l’essere ben educati o manierosi. La gentilezza è un bene complesso e potentissimo, che appartiene a ciascuno di noi, ma che va riscoperto e praticato quotidianamente, perché porti i suoi frutti migliori.

La pedagogia Montessori . La scelta della scuola

Negli ultimi tempi sembra esserci una vera e propria gara per accaparrarsi il nome di Maria Montessori, per la propria scuola, per i giochi, le attività, gli arredi delle camerette. Sembra essere diventato un marchio.

Ma la figura di Maria Montessori è una figura complessa e la sua filosofia, la sua pedagogia e il suo metodo vanno molto oltre una questione di mercato.

La formazione Maria Montessori l’ha portata ad avere attenzione verso lo sviluppo psico-fisico del bambino, osservando le fasi della sua vita.

L’adulto si è sempre preso il merito di essere costruttore dello sviluppo del bambino, come se fosse un vaso da riempire, senza pensare che il bambino ha grandi potenzialità dentro di sé.

Il primo consiglio a chi fosse interessato alla sua pedagogia è quello di leggere almeno le linee fondamentali della sua biografia. Aiuterà a capirne la tenacia, la potenza delle intuizioni, l’audacia, la capacità di visione, il coraggio. Perfino i suoi errori e la storia travagliata della sua maternità saranno utili per capirne il metodo.

Mandare i propri figli in una scuola con metodo Montessori è una scelta saggia, ma serve una consapevolezza importante: la filosofia Montessori deve abbracciare ogni aspetto della vita del bambino, anche a casa. E questo non perché si devono per forza comprare una particolare tipologia di giocattoli o ingegnarsi per fare travasi o fare dormire i bimbi per terra, ma perché la rivoluzione di Maria Montessori sta nello sguardo con il quale si guarda il bambino. Il bambino è il maestro.

La sua voce interiore lo guida verso le esperienze che faranno di lui una persona forte e libera, capace di uno sguardo sano su di sé e sul mondo. L’adulto è un facilitatore di questo processo. A lui il compito di preparare un ambiente che consenta al bambino di assecondare i periodi di sviluppo legati, in ogni fase della crescita, allo sviluppo motorio e del linguaggio.

Nel periodo dai tre ai sei anni c’è una coscienza del bambino molto più chiara. Il lavoro che compie il bambino è quello di impiegare al meglio le proprie potenzialità e perfezionare le conoscenze e competenze.

Per questo quando si sceglie una scuola che si definisce “Montessori” oltre all’ambiente e ai materiali bisogna fare attenzione al modo in cui gli adulti educatori si rapportano ai bambini. Perché se l’adulto è invadente, suggerisce le attività, corregge continuamente, se pensa di sapere cosa il bambino vuole prima di chiederlo al bambino allora…bisogna cercare ancora. Ma senza mai scoraggiarsi.

La ricerca della scuola che più si avvicina a quel che desideriamo per i nostri figli non è facile. Lì dove i nostri bambini sono osservati per essere compresi, con estremo rispetto e lasciati liberi di scegliere quel di cui hanno bisogno, la filosofia Montessori può portare i suoi frutti che sono frutto di libertà e di pace.

Il motore dello sviluppo di tutto è : l’indipendenza.

Avete mai pensato o visitato una scuola Montessori?

Raccontateci la vostra esperienza.

Il ricatto affettivo. La congiunzione ipotetica

Accade spesso che nei confronti dei bambini nasca quello che definirei, da parte dell’adulto, un “gioco di potere”.

È quel se ipotetico, quel ricatto morale o affettivo o di volontà dal quale bisogna rifuggire, fermarsi.

“Se starai buono, ti porterò al parco”, “Se farai come dico, avrai i tuoi giochi”, “Se non mi dai un bacio, non ti vorrò più bene”.

Dietro frasi come queste non emerge nessuna sana relazione affettiva.

Il ricatto emotivo nei confronti dei bambini è una forma di manipolazione che preclude ogni possibilità di scelta.

Purtroppo è una pratica molto comune impiegata quotidianamente nell’educazione di molti bambini.

La leva che muove l’ubbidienza è il senso di colpa, la minaccia, o l’ottenimento di un bene che però ha un prezzo.

Il ricatto è una forma di manipolazione che viene appresa come comportamento, e i bambini possono quindi avvalersene fin da subito o nel futuro che li aspetta. Diverrà anzi una certezza relazionare; la principale modalità d’ottenimento e l’idea che valga anche con i sentimenti.

Dire ai propri figli, attraverso i sé ipotetici, cosa fare e come farlo, riduce al minimo le loro capacità decisionali, creando le condizioni perfette affinché si ribellino e non possano raggiungere una propria indipendenza.

Il ricatto emotivo nei confronti dei bambini è una forma di manipolazione che preclude ogni possibilità di scelta. Forse ci obbediranno, ma probabilmente questa strategia ben presto perderà di efficacia e ci si ritorcerà contro, o peggio, come dicavamo prima, diverrà parte del loro percepire il mondo.

Da un ricatto difficilmente potrà nascere qualcosa di positivo; è piuttosto possibile che i bambini maturino un risentimento a cui non sapranno dare una spiegazione, destinato ad aumentare col passare del tempo.

I bambini sono in grado di capire quando qualcuno cerca di manipolarli molto prima di quanto ci piaccia credere. E a nessuno piace essere manipolato. Proprio per questo potrebbero iniziare a considerare le persone che li ricattano come una minaccia, individui con cui non vogliono avere niente a che fare perché non trasmettono loro sensazioni positive.

Questa non è la strada per un sano percorso educativo.

Ricordiamo che il motore che muove il mondo fonda sull’affettività.

Possiamo aiutare i bambini e noi stessi ad osservare il mondo partecipando in maniera attiva, raccontando loro le conseguenze delle azioni, la causa-effetto di ogni agire, anche e soprattutto quella legata alle emozioni altrui. Sperimentare fa parte del processo evolutivo dei bambini.

Aiutiamoli a comprendere da soli con la chiarezza dovuta.

“Vorrei un bacio da te, perché io e te ci vogliamo bene”.

L’ingresso in società: grazia e cortesia

Immagine dal web

Lo chiameremo il “debutto in società”, ovvero quel tempo per far proprie le regole del vivere civile e fra gli altri. Ma qual è il momento giusto per insegnare ad un bambino quei comportamenti che rispecchino quella che è la società entro la quale vive, entro la quale diverrà inevitabilmente un uomo ed una donna e potrà rispecchiarsi in quanto tale? Da adulti abbiamo compreso che non è un tempo definito, che abbisogna di  costanza, di continui aggiustamenti: esso muta col mutare della società stessa, per quanto poi, si regga su regole basilari di comportamento inequivocabili perché giusti. Quando allora cominciare a dar voce a quegli insegnamenti racchiusi, ad esempio, in un semplice “grazie” in risposta ad un gesto di gentilezza ricevuto? Spesso si immagina erroneamente che un bambino sia troppo piccolo per far proprie certune norme; non è così. Attraverso l’esempio, il bambino riceve un insegnamento che non ha imposizioni e che renderà ad egli stesso facile l’apprendimento. Sarà dunque questa una prima ed autorevole – giammai autoritaria – forma per intraprendere la via al “debutto” dal primo giorno di vità.

Maria Montessori valorizzò la “buona educazione” come mezzo primario di socialità. La civilizzazione, a suo giudizio, riguardava i comportamenti idonei a permettere l’ascesa nella scala dei caratteri superiori dell’uomo. E’ questa idoneità a permettere il corretto sviluppo dei rapporti sociali. In una comunità, e soprattutto in una famiglia, intesa questa come primaria fra tutte le comunità, attiva e di primo riferimento, sarebbe un bene iniziare a sensibilizzare i bambini sui concetti di “rispetto” e “cortesia”, ovvero dandone esempio costante. La completezza dell’insegnamento nel bambino e lo sviluppo dell’attenzione alla cura ed alle esigenze degli altri sarà dunque un esercizio costante e piacevole, cosciente e gratificante.

Sempre Maria Montessori, definì tali consuetudini degli “esercizi di grazia e cortesia” o ancora, “parte dell’arredo spirituale di un uomo proiettato verso livelli più alti e maturi di umanità”. Il bambino è particolarmente sensibile alle maniere attraverso le quali viene trattato, ecco che sorpresa e delusione, dunque, dimostreranno la risposta di smarrimento al gesto brusco e sgarbato. Egli tenderà ad escludersi, a provare rabbia nella relazione, soprattutto quando l’autore di tali comportamenti è l’adulto. Da ciò si evincerà quindi che quella “buona educazione” composta da regole garbate, da gesti aggraziati, da tutte quelle norme mai scritte che ci elevano alla condizione di uomini e di donne civilizzati, sono intimamente presenti nel bambino, ed ogni tempo è dunque il tempo corretto per portarle alla luce, per dar loro forma, per lasciare che divengano parte del nostro comportamento. La famiglia è la prima “palestra” per esercitare la propria persona al repertorio di gesti e parole che rendano gradevole la relazione con gli altri.

Attraverso il costante esempio, potremo notare in un bambino che ha raggiunto l’età dei due anni, l’acquisizione di un comportamento rispettoso e collaborativo ed allora lo si potrà invitare al saluto, a raccogliere oggetti caduti, a scusarsi, a presentarsi o ancora ad usare correttamente il fazzoletto da naso, servire e mangiare a tavola. Questi sono strumenti che lo porteranno a conoscere le  regole sociali assumendo sempre più consapevolezza del proprio “io” e del rispetto per gli altri

Attraverso i rapporti sociali, inoltre, il bambino verrà a conoscenza di ciò che è collaborazione e dell’amicizia. Le norme di comportamento sono la base di questa importante scoperta.

Sommersi dai giocattoli.

Si avvicina il Natale, mamme, papà, nonni, zii, tutti alle prese con l’acquisto di un dono speciale.

Ma, tanti regali e tutti insieme confondono e stimolano eccessivamente il bambino.

La giusta strategia sarebbe donarli uno alla volta, risvegliando così il suo interesse.

Alcune strategie

-Orientiamoci verso giocattoli adatti all’età del bambino, non quelli che potranno essere utilizzati solo dopo mesi o anni, ma neppure quelli troppo elementari per la loro età.

-Offriamo al bambino pochi giocattoli. Quando il bambino avrà esaurito il proprio interesse possiamo sostituirli con altri.

-Spesso i bambini sono attratti da oggetti comuni. Un bambino può stare per ore a giocare con una scatola di cartone, dei pezzi di carta, un mestolo. Con la sua fantasia riuscirà a trasformare questi oggetti in magia.

– I giochi dovrebbero sempre avere una giusta collocazione. Utilizziamo scaffali a vista o un grande contenitore, dove posizionare pochi giochi. Tanti giocattoli sparsi per la stanza e in giro per la casa confondono il bambino, lo abituano al disordine e non gli permettono di scegliere.

– È importante orientare parenti e amici.Una sana comunicazione abituerà tutti a questa consuetudine.

Ciò che muove il bambino all’attività è un impulso interiore primitivo, quasi un vago senso di fame interna, ed è la soddisfazione di questa fame che lo conduce a poco a poco ad un complesso e ripetuto esercizio dell’intelligenza nel comparare, giudicare, decidere un atto, correggere un errore.”

Maria Montessori

Apriamo bene le orecchie

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Ascoltare un bambino significa mettersi alla sua altezza e guardarlo negli occhi, non interromperlo quando parla. Perché saper ascoltare i bambini contribuisce a infondere loro gioia, sicurezza di sé e autostima.Ascoltare una persona in generale significa sospendere il nostro tempo e i nostri giudizi per concentrarci solo su quello che ha da dirci e accogliere con attenzione le sue parole.

 Proprio come un adulto a cui dedichiamo il nostro tempo , anche i bambini hanno bisogno di essere ascoltati in un tempo dedicato solo a loro e senza essere giudicati. 
Mettetevi fisicamente alla sua altezza
Quando il vostro piccolo ha qualcosa da dirvi, mettetevi seduti o in ginocchio, in modo da essere alla sua altezza e poterlo guardare dritto negli occhi. I bambini in questo modo capiscono che siete davvero interessati a comunicare con loro e pronti ad accogliere le loro parole. Non fate mai trapelare impazienza o fretta.
Non anticipate quello che ha da dirvi
Cerchiamo di evitare di interromperli mentre parlano , lasciamo che da soli trovino le parole per comunicare.

Spesso i bambini incespicano, faticano a trovare le parole, si dilungano in particolari per noi inutili: questo è il loro modo di comunicare e va accolto e rispettato”.
Quando voi dovete dirgli qualcosa indicate le sue “orecchie”
Quando desideriamo che ci ascolti indichiamo le orecchie ,per un bambino è qualcosa di astratto; se gli dite che vi deve ascoltare con attenzione, non capirà bene quello che significa. E’ fondamentale quindi riportare il concetto astratto su qualcosa di pratico, indicate le sue orecchie e ditegli: “Bene, ora apriamo le orecchie” Il richiamo a una parte concreta del suo corpo lo aiuterà a comprendere cosa vuol dire “ascoltare”.
Ogni giorno dedicate del tempo esclusivo all’ascolto.
Possono bastare anche solo dieci minuti, l’importante è però che siano esclusivi: abbandonate cellulari, computer, radio, televisione. Dieci minuti durante i quali farvi raccontare la giornata o giocare con loro senza distrazioni.

Questo breve tempo esclusivo è preziosissimo, è un tempo di qualità perché è assoluto e fa capire loro quanto mamma e papà sono li per lui.

I bambini possono imparare ad ascoltare sono se prima hanno imparato ad essere ascoltati . 

Un sano attaccamento. Quanto ne sei consapevole ?


Il “Piccolo principe”, capolavoro di Saint-Exupéry ci spiega come i legami affettivi rappresentino il fulcro principale della nostra identità . 
“È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato”. 
Queste le parole che la Volpe dice al Piccolo Principe per spiegargli perché, quella rosa che ha coltivato e di cui si è preso cura per tanto tempo, sia diventata la “sua” rosa. Adesso, così diversa da tutte le altre, non potrà mai più essere, ai suoi occhi, una rosa qualunque. Egli è diventato responsabile del suo benessere …
I bambini hanno bisogno di legami di attaccamento sicuri; bisogno che permane anche nella vita adulta. 
Più volte abbiamo sottolineato i vari tipi di attaccamento teorizzandoli, senza però tralasciare l’osservazione diretta del bambino con la propria figura di riferimento, così che non restasse, appunto, mera teoria, riscontrando in fine quale stile di attaccamento lo caratterizzasse. 

L’operatore che osserva, pone in essere la prima strategia che può aiutarlo a capire come muoversi. 
Se, ad esempio, un bambino piange quando la figura di riferimento si allontana, e nel ricongiungersi gli corre incontro rassicurandosi velocemente, l’operatore potrà definire “attaccamento sicuro” l’atteggiamento osservato. 
Negli adulti lo stesso comportamento emerge quando in momenti di sconforto essi cercano sostegno nella famiglia. 
Se un bambino piange quando la figura di riferimento si allontana ma al suo ritorno non si consola facilmente, l’operatore potrà dichiarare la presenza di uno stile d’attaccamento insicuro/ansioso, ovvero un riferirsi del bambino alla figura primaria non adeguatamente contenitivo.
Gli adulti con un tale trascorso, tendono ad essere ossessivi nei rapporti di coppia e possono avere atteggiamenti drammatici nell’attirare l’attenzione .
Se un bambino non mostra angoscia all’allontanarsi del genitore, almeno apparentemente, e non mostra successivamente molto interesse quando questi ritorna (o perché abituati ad essere ignorati e respinti, ma anche soffocati da troppe attenzioni), parleremo di un attaccamento insicuro/evitante.
Infine, gli insicuri disorganizzati, sia bambini che adulti, mostrano comportamenti ansiosi ed evitanti in maniera illogica ed irregolare. Questo comportamento solitamente è associato a un genitore minaccioso o comunque violento.

  
Ora, immaginando di immedesimarvi in un osservatore esterno, considerando il vostro vissuto fino all’esperienza genitoriale che state vivendo, come valutereste le interazioni fra voi e i vostri figli? 

Come potreste migliorare, qualora ce ne fosse bisogno, il vostro modo di comunicare in situazioni analoghe? 
Solo consapevoli del vostro e nostro agire sarà possibile modificare, migliorare e crescere, perché è diritto d’ogni figlio avere dei genitori capaci

Buona riflessione .

L’ABC delle emozioni. Educare alle emozioni.

L’incapacità ad esprimere emozioni tramite la verbalizzazione nei bambini, sembra essere considerata dall’adulto, una altrettanta incapacità nel provarne; come se questi, non essendo ancora maturo per esprimersi attraverso la parola, non fosse neanche in grado di poter sentire paura e rabbia, tristezza e dolore, gioia ed euforia.

I bambini sono profondamente sensibili e provano emozioni intense, già dai primi mesi di vita. Mi è capitato osservare l’estremo bisogno nell’adulto nel voler calmare a tutti i costi il pianto nel bambino, come se fosse quest’ultimo, slegato dal proprio sentire, tendendo a distrarne il bisogno espresso attraverso questa prima forma di comunicazione.

La ricerca che si è occupata di individuare il mondo emotivo dei bambini, ha ritagliato una grossa fetta di studi alla dimostrazione di come i bambini imparino a gestire in modo efficace le loro emozioni (abilità nota col termine di auto-regolazione emotiva) e come sia possibile aiutarli a sviluppare questa abilità in modo appropriato, attraverso l’alfabetizzazione emotiva. Perché ciò avvenga, bisogna che l’adulto non tema egli stesso le proprie emozioni. Da noi adulti vengono molto comunemente definite come giuste o sbagliate,esse sono semplicemente emozioni.

La tristezza e la gioia, la rabbia e l’amore, possono coesistere, e sono tutte parti della collezione di esperienze emotive dei bambini. Quando aiuti il tuo bambino a capire le proprie emozioni, stai fornendo gli strumenti utili per una gestione efficace.


( immagine dal web) 

 Ma cosa possono fare i genitori? 

1. A partire dai primi mesi, entrando in sintonia con i segnali dei bambini, con i loro suoni, le loro espressioni facciali ed i gesti. Rispondendo con sensibilità, permettiamo ai bambini di sapere che i loro sentimenti sono riconosciuti e che sono importanti per noi. Questo potrebbe significare ad esempio fermare il gioco del solletico in un bambino di quattro mesi quando questi inarca la schiena e guarda lontano, poiché sta segnalandoci il bisogno di una pausa. Portare un piccolino di nove mesi alla finestra per dire ciao alla mamma, assecondando l’attimo di tristezza nel vederla andare via a lavoro, senza pilotarne l’attenzione su altri eventi. 

2. Nominare le emozioni ed i sentimenti che riconosciamo. Dire quindi al bambino, con parole adeguate: “questa è gioia”, “questa è rabbia”, “questa è noia”. In psicologia, per sentimenti intendiamo uno stato d’animo (ovvero una condizione cognitivo-affettiva che dura più a lungo delle emozioni).

Il sentimento è quindi ciò che resta delle emozioni provate. Le emozioni quali la rabbia, la tristezza, la frustrazione e la delusione possono essere travolgenti per i bambini e determinarne i sentimenti futuri. 

Non temere le emozioni
. Le emozioni non sono il problema. E ‘quello che facciamo, o non facciamo con queste preziose risorse che può divenire problematico. Ascoltate con apertura e calma il vostro bambino quando condivide con voi sensazioni complicate. Quando chiedete al bimbo informazioni circa i propri sentimenti e se sono stato riconosciuti, state inviando il messaggio chiaro che le emozioni sono importanti per voi ed hanno valore. Riconoscere e nominare sentimenti è il primo passo per imparare a gestire la propria interiorità in maniera salutare ed accettabile nel tempo. 

4. Evitare di minimizzare o di allontanare i bambini dai loro sentimenti.
Questa è una reazione naturale. Noi vogliamo solo che i cattivi sentimenti vadano via, e spesso utilizziamo erroneamente frasi ed oggetti dei quali al bambino non importa minimamente, ma che lasciano inespresse tanto le emozioni quanto le sensazioni che prima o dopo, in un modo o nell’altro, riemergeranno nuovamente. 

5. Insegnare strumenti di coping
 

Se una bimba di due anni è arrabbiata perché è ora di tornare a casa, insegnatele a disegnare la rabbia con un pennarello rosso, in modo che possa esprimerla.
Per aiutare un bambino di diciotto mesi che si sente frustrato perché non riesce ad arrivare ad un gioco, trovate assieme al bambino la soluzione ed i vari modi per risolvere il problema. 

Consigli pratici per i genitori: Le reazioni emotive dei nostri figli innescano le “nostre” reazioni emotive, e questo può portarci ad agire in maniera istintiva, sentendo la necessità di “salvare” o “correggere” ciò che sta causando disagio nel nostro bimbo ed in noi.