Lasciami essere,lasciami fare da solo. Perché restare un passo indietro

Bambini bizzarri

Qual è il modo migliore in cui dovrebbe porsi un adulto nei confronti del bambino?

Sicuramente come un osservatore attento e partecipe, spettatore della sua crescita, pronto ad esserci allorquando richiesto.

Troppo spesso ci sostituiamo al bambino; troppo spesso ci prendiamo la briga di fare per lui.

Nessuna sostituzione di ruoli andrebbe mai effettuata; nessuna correzione diretta di una azione ritenuta scorretta. La sollecitudine del provare e riprovare, errore dopo errore, permetterà al nostro bambino di misurare la propria autostima, accrescerla e farne una risorsa, in misura inesauribile per il futuro di uomo.

Quante volte in una giornata gli permettiamo di sperimentare?
Da quando si sveglia a quando va a dormire quante volte abbiamo fatto al posto suo?
Un bambino che non sperimenta si convincerà di non saperlo fare e smetterà di provarci.

I bambini che intraprendono la lunga strada dell’autonomia, del vestirsi da soli, del mangiare da soli, saranno collaboratori in famiglia, lenti, talvolta bizzarri, ma un vero aiuto per mamma e papà.

Diamo loro la possibilità di farlo, restiamo un passo indietro, sforziamoci di non intervenire, concordiamo orari più lenti, ambienti pensati a misura di bambino perché non debba sempre chiedere aiuto per svolgere quel compito. Una volta sicuro delle sue abilità e con la giusta dose di incoraggiamento, troverai dinnanzi a te un bambino competente, di quella competenza naturale, né forzata ne smorzata.

Un bambino è dunque disposto a migliorare sempre sé stesso ed il mondo attraverso l’azione consapevole e libera da condizionamenti.
Capace di essere e non solo di fare.
Capace d’apprendere ed insegnare.

Perchè ho scelto di diventare padre. Quanto ciò che scegliamo è dettato dalle emozioni, quanto dalla ragione

Festa del papà

Cuore e mente, mente e ferro.

Fra i grandi dilemmi umani, uno in particolare rappresenta un conflitto.

Indagato e raccontato da millenni, trasposto in arte, letteratura, musica, poesia; il disaccordo tra la ragione e il sentimento, tra la logica e l’emozione, tra il pensiero analitico e la formulazione emozionale è e resta senza vincitori o vinti (almeno per ciò che riguarda la nostra specie).

Fantasticando oltre, potremmo risolvere la contesa affermando che il nostro genere ha però ineluttabilmente scelto la via dell’inquietudine.

Fra i grandi pensatori del secolo scorso, uno in particolare si interrogò su ciò che è umano e ciò che non lo è, ovvero tra noi esseri coscienti e le macchine intelligenti.

Isaac Asimov, biochimico e scrittore russo naturalizzato statunitense, produsse una serie infinita di racconti e romanzi fantascientifici incentrati su un futuro che vedeva l’umanità affiancata da intelligenze artificiali, e dalla loro maggiore incarnazione: i robot. Formulò in letteratura quelle che in campo scientifico, nel reale, sono state adottate quali guide per il consolidamento di qualunque macchina votata ad asservire l’uomo, ovvero le “tre leggi della robotica”, e produsse ulteriormente il dubbio sul confine tra coscienza umana e coscienza robotica, tra pensiero emozionale e pensiero, appunto, analitico.

Ne parlavamo con mia moglie all’ora di pranzo, seduti a tavola, fra gli sguardi fintamente distratti di nostro figlio che affondava intanto la forchetta sulla cotoletta al suo piatto e pareva invece interessatissimo al nostro dire di robot ed emozioni.
Il punto era: quanto di ciò che scegliamo è dettato dalle emozioni, quanto dalla ragione. Concludevamo che tutto il nostro agire è un riflesso emotivo, e che ciò che ammettiamo logico soltanto, in verità cela una sublimazione emotiva, se non addirittura impulsiva, carnale.

Proprio nel pensiero di scelta di mettere al mondo un figlio, di crescerlo ed educarlo, quanta logica impieghiamo e quanto stupore? E ancor prima, come e perché avremmo scelto il genitore per nostro figlio nella persona che lo incarnerà e che adesso ci è dinanzi?
Una A.I., interrogata in merito, produrrebbe una risposta negativa, perché la vita risulterebbe, a suo ben pensare, una ostilità allo stesso vivere. Forzata però a dover procreare, incrocerebbe i dati sulla ricchezza del patrimonio genetico, sul luogo e il momento della nascita, sul dato ambientale, sui fattori sociali di sviluppo, sulle prospettive di vita…

Credetemi se vi dico che smetterebbe di funzionare andando in protezione.

Questo nostro mondo è retto dal sentimento, non certo dalla ragione.

Ciò che muove il mondo non può avere la comprensione della sola nostra logica, né della logica di una macchina, di una mente di ferro. Ma ci stiamo evolvendo, trasformando il nostro mondo e il mondo che ci circonda, cercando di placare quanto più possibile la sfera emozionale a vantaggio della logica. Sceglieremo sempre meno per un sempre migliore risultato che azzeri l’errore. I nostri figli rappresenteranno il prodotto di una formula che includerà il dato del prestigio, della nostra curva economica familiare, della collocazione geografica, del tempo. La scarsa natalità in questa parte di mondo è il riflesso di una umanità sempre più legata a un pensiero artificiale; ma questa divagazione non mi compete, e la cotoletta è già finita.

Tornando invece a noi, alle nostre scelte viventi, l’idea che un figlio giunga a questo mondo, cresca e ne tragga vantaggio per tramandare ulteriormente un sapere universale, non è una idea, è un sentire; non appartiene alla ragione ma al cuore; come ogni altra scelta conseguente che ne determinerà poi il profilo, l’identità, il nome.

Abitiamo i luoghi del cuore, amiamo con gli occhi, educhiamo alla bellezza, viviamo nel fattore umano.

Nella trasposizione cinematografica di “Io, robot” del 2004 e diretta dal regista Proyas, un NS-5 posto di fronte alla scelta su chi salvare tra il protagonista Del Spooner e un bambino, sceglierà Spooner per la sola ragione che i parametri vitali di quest’ultimo lasciavano buone probabilità di salvezza, senza curarsi del fatto che l’altro fosse, appunto, solo un bambino. L’androide non aveva altra scelta che quella analitica. Il suo agire non ammetteva errori, le probabilità di portare a termine il suo compito e salvare una vita umana erano sufficienti a scartare uno o l’altro dalla condizione di pericolo. C’è riuscito, razionalmente. Ha perduto, umanamente.

Scegliete, scegliete sempre; tanto poi, sceglierete col cuore.

F.D

Esiste davvero una scuola per genitori?

Ci sono cose che in realtà non troverai mai scritte fra i libri, o meglio le troverai, ma non è detto che siano quelle giuste per tuo figlio.

Negli ultimi anni un’inversione di tendenza ammette uno stile di vita che promuove la vicinanza tra i genitori ed il piccolo, avvalorata da recentissimi studi pediatrici e da altrettante ricerche in merito. Sono nati parallelamente frequenti corsi e campagne promozionali sulla bontà di tale vicinanza che variano dall’allattamento al seno a richiesta, alla fascia porta bebè, quindi alla pratica del portare, alla condivisione del sonno.

Tutte pratiche corrette, ma…

Il contatto e la vicinanza certo regalano al bambino senso di sicurezza e fiducia. Assecondare tali pratiche e suggerimenti regala la consapevolezza di stare facendo la cosa giusta, quantomeno la migliore, però non sempre i risultati eguagliano le aspettative. Trascorsi i primi mesi, calati nella teoria e nella pratica, ci si accorge che proprio nostro figlio non risponde alla lettera a quegli stimoli del sonno che auspicavi continuati per tutta una notte; che distrarlo progressivamente dall’allattamento risulta una più ardua impresa; che il portare non è in linea col temperamento del piccolo.

Cosa accade allora nella testa delle mamme a questo punto?

Accade che queste riprendano a interrogarsi, a cercare di comprendere come abituare il proprio bambino a dormire, a condurlo fuori, a nutrirlo, insomma ad ogni altra bontà che sia stata appresa sui libri, attraverso i libri e i blog e le pagine…

Proprio sull’addormentamento, dopo due giorni di riflessioni sono giunta a questa conclusione:

Non puoi insegnare ad un bimbo a dormire, puoi aiutarlo a trovare un modo per rilassarsi dall’incessante processare di energie e stimoli, fino a scivolare nel sonno.

Ciò che cerco di dirvi è quanto segue:

Tutti i bambini dormiranno, prima o dopo. Il punto è quanto prima o quanto dopo, e con quali dinamiche. Il cervello di un bambino non è fisiologicamente maturo per dormire ininterrottamente; capita però che alcuni bambini riescano a riaddormentarsi da soli, senza che ce ne accorgiamo, attraverso risorse differenti dal pianto o dalla ricerca di contatto. I più, vanno accompagnati, accolti, compresi.

Leggere fa bene a grandi e bambini. Scopriamo il perché

Acquisire la capacità di leggere, farlo assieme ai bambini, è un gesto d’amore. Questa capacità può fare meraviglie.

Leggere aiuta i bambini ad acquisire familiarità con il discorso parlato, con i suoni delle parole.

Integrare la routine quotidiana con una lettura naturale, farà sì che questa diventi un gesto irrinunciabile.

L’ascolto di storie, in pratica, arricchisce il bambino di parole e accelera la maturazione intellettuale; permette inoltre l’identificarsi in altri da sé stesso, così da comprendere e conoscere, senza sottovalutarne l’aspetto emotivo, il mondo altrui.

Nasce e si stabilizza ulteriormente una relazione stretta tra il bambino e il lettore.

“Diverse ricerche scientifiche – aggiunge Tamburini – hanno dimostrato che leggere ad alta voce, con una certa frequenza ai bambini, fin da quando sono piccolissimi, influenza lo sviluppo cognitivo e linguistico, ma anche emotivo, affettivo e relazionale”.

Ha per esempio un effetto positivo sulla relazione genitori-figli, perché rappresenta un’occasione in cui mamma o papà staccano la spina per dedicarsi a loro.

“È un gesto d’amore, un’esperienza positiva e piacevole che rafforza il legame e l’attaccamento sicuro. Inoltre, attraverso le storie i bambini imparano a riconoscere con più facilità le proprie emozioni e quelle altrui”.

Favorisce lo sviluppo intellettivo.

Costruire gradualmente sin dalla nascita una biblioteca, apre le porte della fantasia, con amore e naturalezza.

Un ambiente stimolante, in cui il libro è parte della casa e delle normali attività del bambino, come spiega il noto pediatra Tamburlini “favorisce lo sviluppo del linguaggio e facilita l’apprendimento nel bambino piccolo e, in prospettiva, migliora le capacità di lettura ed espressive nel bambino più grande: pone cioè le basi per il futuro conseguimento di buoni risultati scolastici”.

Cosa è la letteratura per l’infanzia?

Di seguito, un breve ma illuminante passaggio del corso “Bambini e lettura” cosa, quando, perché leggere da 0 a 12 anni; a cura di Lorenzo Naia

About

⁃ La letteratura per l’infanzia è l’insieme delle opere che utilizzano la parola scritta, rivolte alla fascia d’età dello sviluppo. Il grande vantaggio del poter definire cosa sia la letteratura per l’infanzia – aspetto tutt’altro che scontato – fa sì che si possano riconoscere le caratteristiche dei lettori più giovani, che, in quanto bambini, hanno esigenze specifiche, diverse da quelle degli adulti, e al contempo sono lettori in formazione, ovvero che stanno imparando anche cosa sia un libro e cosa significhi leggere.

Lo svantaggio, però, è considerare la letteratura dell’infanzia come una letteratura minore, un’imitazione ridotta o semplificata di quella rivolta agli adulti, svilendo così il fondamentale compito che in ultima istanza la narrazione ha per un bambino: custodire il suo immaginario.

I benefici della lettura

SUL PIANO COGNITIVO

– Allena a processare informazioni

– Stimola l’immaginazione e la fantasia

– Espande il vocabolario

– Migliora le capacità di attenzione, concentrazione e memoria

– Aiuta ad interiorizzare la struttura di una narrazione

SUL PIANO EMOTIVO

– È fonte di divertimento e gratificazione – Favorisce l’introspezione

– Offre uno spettro di emozioni diverse da sperimentare indirettamente

– Pone gradualmente di fronte a situazioni di vita

Tipi di libri:

Non mi soffermerò qui sui temi e sui generi letterari, per i quali ogni tentativo di catalogazione risulterebbe riduttivo, ma sul rapporto testo-illustrazioni.

Albo illustrato:

PAROLE + IMMAGINI

Libro illustrato:

PAROLE > IMMAGINI

Silent book:

PAROLE < IMMAGINI

Graphic novel e fumetto

pop up e libri interattivi:

Il testo e le illustrazioni creano un tutt’uno complementare

Il testo prevale, le illustrazioni sottolineano alcuni passaggi.

Le illustrazioni prevalgono, la narrazione c’è ma è il lettore a darle corpo.

Il testo e le illustrazioni sono inscindibili, in un linguaggio peculiare.

Il testo e/o le illustrazioni assumono forme insolite o inaspettate.

Cinque consigli per trasmettere il piacere della lettura ai più piccoli,

da un mio articolo per IKEA Italia di Lorenzo Naia

1) Lasciate che siano loro a decidere cosa leggere, senza giudicare. Non esiste un racconto giusto o sbagliato, deve essere un’attività gratificante! Per cui va bene anche se chiedono lo stesso libro tante volte.

2) Ogni tanto provate a proporre voi una lettura, può essere una piccola sorpresa oppure un regalo per un’occasione speciale, l’importante è che quella storia vi piaccia sinceramente, perché così si percepirà il vostro entusiasmo.

3) Allestite un piccolo angolo lettura, che volendo si può utilizzare anche per giocare. Bastano poche cose, purché siano morbide e confortevoli: tappeti, cuscini, teli… Non dimenticate, però, qualche dettaglio che parli di voi.

4) Stabilite un momento fisso della giornata, in modo tale che diventi parte della routine quotidiana, che diventi un rituale. Prima di andare a letto, ad esempio. Ritagliatevi un po’ di tempo e mettetevi super, super comodi!

5) Non è necessario saper interpretare come attori, trovate una modalità che vi faccia sentire a vostro agio. Cercate soprattutto di ricordarvi che leggere insieme vuol dire condividere un’emozione.

L’angolo lettura

da un mio articolo per unprogetto.com:

Sono piccole zone della casa o della cameretta allestite con cura per creare intimità, voglia di scoprire, senso di benessere e, soprattutto, per trasmettere il piacere della lettura ai bambini.

Non per forza occorrono grandi metrature, il principio orientativo è ricreare l’atmosfera di una tana in cui rifugiarsi: il bambino la sentirà fin da subito come un’area personale, dove intrufolarsi volentieri, talvolta condividendola con l’adulto.

Alcuni suggerimenti:

– materiali morbidi e forme arrotondate – spazio circoscritto

– oggetti ad altezza bimbo

– libri di piatto

– qualche dettaglio personale -.

Concludiamo dicendo che dedicare del tempo alla lettura è un gesto d’amore verso noi stessi e verso i bambini, addobbiamo le nostre case con libri, facciamo in modo che profumino di carta, creiamo nelle loro camere librerie accessibili, la possibilità di poter toccare, assaporare è la prima tappa verso l’esplorazione, verso quel viaggio d’apertura al mondo della conoscenza.

Perché Homeschooling ?Una filosofia di vita.

In Italia la legge prevede la possibilità per le famiglie di provvedere direttamente all’educazione, istruzione, formazione dei propri figli, senza cioè che questi ultimi frequentino una scuola.

Il quadro normativo di riferimento si rifà agli articoli 30 e 34 della nostra Costituzione, le leggi n. 104 art. 12 comma 9 del 05/02/92 e n. 296 art. 1 comma 622 del 27/12/2006, nonché i decreti legislativi n. 297 art. 111 comma 2 del 16/04/1994, n. 76 art. 1 comma 4 del 25/04/2005, n. 62 art. 23 del 13/04/2017, e il decreto ministeriale n. 489 art. 2 comma 9 del 13/12/2001

È una scelta importante quella di non delegare a nessuna istituzione la formazione dei propri figli. Essa coinvolge la vita di tutta la famiglia e prevede, a cascata, una serie di decisioni e chiamate in causa di tutti i membri del nucleo familiare. Questo perché l’educazione parentale o Homeschooling è prima di tutto una scelta di vita, una particolare visione della società, della genitorialità, di cosa voglia dire formazione e cultura.

Decidere di dedicarsi all’educazione parentale, perché si hanno riserve e critiche verso il sistema scolastico, non può essere, a mio avviso, il motore della scelta.

L’homeschooling mette radici sane a partire da una visione positiva e coinvolgente della vita familiare, una visione originale legata al tipo di educazione scelta, a modelli di riferimento creativi e flessibili, non a rigide visioni che individuano nella scuola l’origine di tutti i mali.

Esistono molti modi, infatti, di declinare l’homeschooling, alcuni di questi coinvolgono anche, lì dove è possibile, la scuola, soprattutto per la fascia di età 0-6.

Educazione parentale non vuol dire fare da istitutori o istitutrici ai propri figli, insegnare loro a leggere, scrivere e fare di conto, come si diceva un tempo, applicando lo stesso ritmo della scuola. Significa piuttosto guardare alla vita, in tutte le sue sfaccettature, come ad una imperdibile opportunità per imparare a vivere, appunto. Significa assecondare le curiosità, le predisposizioni, i talenti dei propri figli, prendendosi in prima persona la responsabilità di farli crescere secondo la loro unicità.
Certo, dovranno di anno in anno, dalle elementari al diploma di scuola secondaria di secondo grado, affrontare da esterni degli esami per veder riconosciuto il percorso fatto, ma quegli obiettivi saranno solo una parte del cammino compiuto, raggiunto comunque in modo del tutto personale.

Si potranno prediligere le lingue o l’arte o la matematica, a seconda delle predisposizioni di ciascuno. Si potranno anche mettere insieme più bambini o ragazzi se si trovano famiglie con le quali condividere un progetto.

Ogni cosa che accade durante la giornata potrà essere il punto di partenza di un percorso formativo, soprattutto se fin dalla primissima infanzia le domande dei piccoli saranno state prese sul serio: “Perché piove?”, “Perché la lavatrice gira?”, “Perché le zanzare pungono?”, “Perché le lacrime sono salate?”. Se prendessimo sul serio questi quesiti e la costruzione delle risposte, avremmo già soddisfatto buona parte delle programmazioni ministeriali riguardanti l’ambito scientifico!
Ma soprattutto avremmo sostenuto e alimentato quella curiosità che sta alla base di tutti i saperi.

Non è un percorso semplice. E le domande che sorgono sono moltissime. A far più chiarezza, due dei maggiori siti italiani sull’argomento http://www.edupar.it e http://www.laifitalia.it

Homeschooling non vuol dire tagliare le gambe alla socializzazione dei nostri figli e non corrisponde al desiderio di tenerli al sicuro nel nido il più a lungo possibile, anzi! Si tratta di ripensare completamente il proprio stile di vita familiare mettendosi costantemente in discussione.

Articolo scritto in collaborazione con Giulia Lo Porto.

La pedagogia Montessori . La scelta della scuola

Negli ultimi tempi sembra esserci una vera e propria gara per accaparrarsi il nome di Maria Montessori, per la propria scuola, per i giochi, le attività, gli arredi delle camerette. Sembra essere diventato un marchio.

Ma la figura di Maria Montessori è una figura complessa e la sua filosofia, la sua pedagogia e il suo metodo vanno molto oltre una questione di mercato.

La formazione Maria Montessori l’ha portata ad avere attenzione verso lo sviluppo psico-fisico del bambino, osservando le fasi della sua vita.

L’adulto si è sempre preso il merito di essere costruttore dello sviluppo del bambino, come se fosse un vaso da riempire, senza pensare che il bambino ha grandi potenzialità dentro di sé.

Il primo consiglio a chi fosse interessato alla sua pedagogia è quello di leggere almeno le linee fondamentali della sua biografia. Aiuterà a capirne la tenacia, la potenza delle intuizioni, l’audacia, la capacità di visione, il coraggio. Perfino i suoi errori e la storia travagliata della sua maternità saranno utili per capirne il metodo.

Mandare i propri figli in una scuola con metodo Montessori è una scelta saggia, ma serve una consapevolezza importante: la filosofia Montessori deve abbracciare ogni aspetto della vita del bambino, anche a casa. E questo non perché si devono per forza comprare una particolare tipologia di giocattoli o ingegnarsi per fare travasi o fare dormire i bimbi per terra, ma perché la rivoluzione di Maria Montessori sta nello sguardo con il quale si guarda il bambino. Il bambino è il maestro.

La sua voce interiore lo guida verso le esperienze che faranno di lui una persona forte e libera, capace di uno sguardo sano su di sé e sul mondo. L’adulto è un facilitatore di questo processo. A lui il compito di preparare un ambiente che consenta al bambino di assecondare i periodi di sviluppo legati, in ogni fase della crescita, allo sviluppo motorio e del linguaggio.

Nel periodo dai tre ai sei anni c’è una coscienza del bambino molto più chiara. Il lavoro che compie il bambino è quello di impiegare al meglio le proprie potenzialità e perfezionare le conoscenze e competenze.

Per questo quando si sceglie una scuola che si definisce “Montessori” oltre all’ambiente e ai materiali bisogna fare attenzione al modo in cui gli adulti educatori si rapportano ai bambini. Perché se l’adulto è invadente, suggerisce le attività, corregge continuamente, se pensa di sapere cosa il bambino vuole prima di chiederlo al bambino allora…bisogna cercare ancora. Ma senza mai scoraggiarsi.

La ricerca della scuola che più si avvicina a quel che desideriamo per i nostri figli non è facile. Lì dove i nostri bambini sono osservati per essere compresi, con estremo rispetto e lasciati liberi di scegliere quel di cui hanno bisogno, la filosofia Montessori può portare i suoi frutti che sono frutto di libertà e di pace.

Il motore dello sviluppo di tutto è : l’indipendenza.

Avete mai pensato o visitato una scuola Montessori?

Raccontateci la vostra esperienza.

Nutrire e nutrirsi. Le chiacchiere in tema di allattamento prolungato.

A volte l’inizio dell’allattamento è impegnativo e faticoso, quando finalmente la strada sembra in discesa intorno alla mamma si crea un coro di ammirazione e sostegno.

Il bimbo cresce, supera i 6 mesi, è arrivato il tempo di iniziare a sperimentare il cibo fuori dalle poppate… E così cominciano a insinuarsi in una neo-mamma i primi dubbi: fino a quando è giusto continuare ad allattarla? Quando è il momento di “svezzarla”? A questo punto, non di rado, la mamma deve scontrarsi con le critiche e la disapprovazione delle persone che la circondano che però notate bene non hanno nessun fondamento scientifico, si fondano solo su constatazioni personali, con l’unico obiettivo insinuare nelle mamme senso di inadeguatezza alle risposte continue che il bambino la sottopone!

L’OMS, e tutte le organizzazioni scientifiche di settore raccomandano l’allattamento per due anni e oltre, finché mamma e bambino lo desiderano: nella nostra società, una donna che decide di continuare ad allattare un bimbo oltre l’anno incorre in una serie infinita di critiche: “Lo allatti ancora? Ormai è ormai grande!», oppure: «Il tuo latte non ha più sostanza”.

Il distacco e autonomia diventano dunque sinonimi.

I dubbi principali ruotano proprio attorno allo sviluppo psicologico del bambino: «Lo stai viziando, crescerà mammone!», e anche se non te lo dicono, lo pensano.

Nessuno però è pronto ad elencare gli effetto benefici sul bambino…

Quando parliamo di allattamento non ci riferiamo soltanto a un modo di nutrire il bambino ma a una relazione complessa e agli effetti che essa può avere sullo sviluppo cognitivo e psicomotorio, sul comportamento e sul benessere psicologico del bambino che cresce; effetti che si riflettono positivamente sia sulla madre sia sulla società.

Esistono diverse ricerche che sembrano dimostrare l’esistenza di una correlazione positiva fra una maggiore durata dell’allattamento e un miglioramento della memoria, delle prestazioni motorie e delle abilità linguistiche del bambino. Secondo un recente studio pubblicato su un’autorevole rivista medica, più a lungo i bambini vengono allattati, maggiori sono le probabilità che realizzino il loro potenziale genetico, diventando adulti istruiti e con buone possibilità di inserimento sociale. L’allattamento ha un impatto positivo anche sulla modulazione del temperamento del bambino.

L’allattamento è una relazione intima e solo può dipende la durata e la fine e quando sarà arrivato il momento di trasformarla in qualcosa di diverso.

Il bambino, cresciuto in un ambiente sicuro, è del tutto competente, e quando sarà pronto potrà, senza difficoltà e per gradi, diventare autonomo. Allo stesso modo, ogni mamma, in un contesto familiare sereno e positivo, è perfettamente capace di accompagnare il piccolo verso il distacco. Lasciamo quindi che gestiscano con serenità il loro legame unico e irripetibile.

Non esistono formule magiche per la crescita dei nostri figli, attendere che il bambino dia i migliori frutti solo nel momento in cui è pronto a farlo.

Questa è la più importante scoperta delle neuroscienze.

Se qualcuno vi suggerisce di smettere, citate le fonti scientifiche, nessuno avrà più il coraggio di proferir parola.

La spiritualità nei bambini. Un soffio di magia

Approfondire argomenti come la spiritualità nei bambini è molto complesso in un mondo fatto di esclusiva concretezza.

L’intelligenza esistenziale come la definiva Gardner è un’abilità che si riferisce alla spiritualità e ci permette di connetterci agli altri.

Nessuno può trascurare questo aspetto.

Già Maria Montessori nell’osservare il comportamento del bambino, vi scopre una parte interna che non si rende visibile e che chiama “maestro interiore”, che guida le sue azioni esterne “infaticabilmente, in gioia e felicità, secondo un preciso programma, allo scopo di costruire l’uomo adulto”.

Il maestro interiore, portando con sé un disegno del suo sviluppo psichico, dà al bambino le direttive ad esso connesse, affinché egli possa rispondere in modo attivo e partecipe alla formazione di se stesso.

Educare alla vita interiore significa pertanto prendersi cura di questo maestro interiore, dal momento che “il misterioso sviluppo interiore è notevole, la corrispondente manifestazione esterna è minima; vi è quindi un’evidente grande sproporzione fra l’attività della vita interiore e le possibilità di espressione esterna”. Gli esercizi di vita spirituale escogitati dalla Montessori hanno lo scopo di rendere visibile l’invisibile, coltivando le potenzialità del bambino e favorendone lo sviluppo personale ; si tratta di avviare un cammino di risveglio che dura tutta la vita, perché il mondo invisibile dello spirito ha bisogno di molto tempo e di varie occasioni per manifestarsi in modo sempre più compiuto nel mondo visibile. L’ “embrione spirituale” per costruire l’uomo adulto ha bisogno di un ambiente “ricco di nutrimento” che incoraggi il passaggio dall’inconsapevolezza alla consapevolezza, dalle attività inconsce all’attenzione: “la polarizzazione dell’attenzione su un oggetto” – dice Montessori – fa scattare la trasformazione del bambino il quale mostra qualità interiori straordinarie che ricordano “i fenomeni di coscienza più alti, come quelli della conversione”.

Il bambino è un uomo, una persona, l’essenza dell’uomo unico e irreperibile, creativo, capace, potenzialmente intelligente, auto poetico in costruzione: un bambino che si forma da sé.

Fu Maria Montessori a parlare di “embrione spirituale” quel periodo formativo post-Natale compreso tra l’embrione fisico e l’età adulta. È un lasso di tempo che va dai primi mesi di gravidanza all’età adulta(dopo l’adolescenza). Si chiama embrione perché percorre le stesse tappe dell’embrione fisico.

Prendersi cura della dimensione spirituale vuol dire aiutare a fiorire, non solo un tipo di sensibilità, ma anche un tipo d’intelligenza che aiuta a trovare un proprio posto nel mondo.

Socievoli, come e quando? Socializzare senza pretese

La socializzazione umana è un processo di trasmissione culturale, un complesso meccanismo di codici che, proprio perché complesso, allo stesso modo può ritenersi delicatissimo.

Quante volte abbiamo potuto udire, rivolte ad un bambino, l’esortazioni:

“Gioca con Pierino, con Francesco, con Giacomino”

ripetute fino allo sfinimento, e con la stessa enfasi irriguardosa, udire ancora quelle altre, ma rivolte al genitore:

“Ha bisogno di stare con altri bambini. Sta troppo con gli adulti. Spediscilo a scuola”.

L’immancabile sentenza, che cala come una mannaia:

“Non sa socializzare con gli altri”.

Quante mamme allora si saranno chieste quale sia il momento giusto per farli socializzare.

È doveroso ricordare che nei primi anni di vita, la famiglia rappresenta l’unico ambiente che il bambino conosce realmente. Questo nucleo è per lui la prima forma di società con cui entra a stretto contatto e dove avviene la sua prima esperienza di socializzazione.
Un passaggio delicato, che a seconda di come noi adulti lo imbastiremo condizionerà il rapporto che il bambino avrà nei confronti del mondo e della vita.

Solo la mamma e il papà potranno contribuire a rendere il loro bambino sicuro e protetto, offrendo tutta l’attenzione dovuta fin dall’inizio.

La socializzazione è un processo spontaneo e come tale non c’è una data ben precisa in cui è doveroso giocare con gli altri. Ogni bambino poi, ha i suoi tempi, e creare pressioni può rischiare solo di ottenere l’effetto contrario.

-Rispetta sempre i suoi tempi e ricorda che ancora tra i 2 e i 3 anni, i bambini sono più legati al gioco con gli oggetti che al gioco con i coetanei. Stimolalo con attività che possano coinvolgere altri bambini, senza però forzarlo. Prediligi attività all’aria aperta, laddove l’incontro non sia condizionato bensì spontaneo-.

L’adulto può fare la propria parte costruendo le basi perché ciò avvenga, partendo anche dal gioco condiviso.

-Rispetta le sue regole e alterna le tue. In questo modo il tuo bambino, egocentrico per natura, si abituerà a mediare tra i diversi modi di stare insieme-.

Non ci si deve preoccupare se a due o tre anni, appunto, un bimbo non cooperi ancora, poiché a questa età è difficile che si instauri un meccanismo di gioco comune.

L’interazione nel gioco va favorita, certamente, ma l’adulto non imponga la socializzazione contro ogni volontà.

Concludiamo allora ammettendo che la pretesa, del dover a tutti i costi aver a che fare con Giacomino, se non si è pronti ad affrontarla, è una scorrettezza bella e buona.

Il ricatto affettivo. La congiunzione ipotetica

Accade spesso che nei confronti dei bambini nasca quello che definirei, da parte dell’adulto, un “gioco di potere”.

È quel se ipotetico, quel ricatto morale o affettivo o di volontà dal quale bisogna rifuggire, fermarsi.

“Se starai buono, ti porterò al parco”, “Se farai come dico, avrai i tuoi giochi”, “Se non mi dai un bacio, non ti vorrò più bene”.

Dietro frasi come queste non emerge nessuna sana relazione affettiva.

Il ricatto emotivo nei confronti dei bambini è una forma di manipolazione che preclude ogni possibilità di scelta.

Purtroppo è una pratica molto comune impiegata quotidianamente nell’educazione di molti bambini.

La leva che muove l’ubbidienza è il senso di colpa, la minaccia, o l’ottenimento di un bene che però ha un prezzo.

Il ricatto è una forma di manipolazione che viene appresa come comportamento, e i bambini possono quindi avvalersene fin da subito o nel futuro che li aspetta. Diverrà anzi una certezza relazionare; la principale modalità d’ottenimento e l’idea che valga anche con i sentimenti.

Dire ai propri figli, attraverso i sé ipotetici, cosa fare e come farlo, riduce al minimo le loro capacità decisionali, creando le condizioni perfette affinché si ribellino e non possano raggiungere una propria indipendenza.

Il ricatto emotivo nei confronti dei bambini è una forma di manipolazione che preclude ogni possibilità di scelta. Forse ci obbediranno, ma probabilmente questa strategia ben presto perderà di efficacia e ci si ritorcerà contro, o peggio, come dicavamo prima, diverrà parte del loro percepire il mondo.

Da un ricatto difficilmente potrà nascere qualcosa di positivo; è piuttosto possibile che i bambini maturino un risentimento a cui non sapranno dare una spiegazione, destinato ad aumentare col passare del tempo.

I bambini sono in grado di capire quando qualcuno cerca di manipolarli molto prima di quanto ci piaccia credere. E a nessuno piace essere manipolato. Proprio per questo potrebbero iniziare a considerare le persone che li ricattano come una minaccia, individui con cui non vogliono avere niente a che fare perché non trasmettono loro sensazioni positive.

Questa non è la strada per un sano percorso educativo.

Ricordiamo che il motore che muove il mondo fonda sull’affettività.

Possiamo aiutare i bambini e noi stessi ad osservare il mondo partecipando in maniera attiva, raccontando loro le conseguenze delle azioni, la causa-effetto di ogni agire, anche e soprattutto quella legata alle emozioni altrui. Sperimentare fa parte del processo evolutivo dei bambini.

Aiutiamoli a comprendere da soli con la chiarezza dovuta.

“Vorrei un bacio da te, perché io e te ci vogliamo bene”.