“Perché l’olio è verde?”

Questa, e infinite altre domande, infiniti e altri “perché”, rappresentano l’espressione

verbale a quella fase di sviluppo cognitivo nella quale emergono curiosità e interrogativi. Inizia, indicativamente, attorno ai due o tre anni, per divenire col tempo un fiume in piena di quesiti ai quali non sempre siamo in grado, noi genitori, di trovare risposta.

Il primo “perché” del mio bambino interessò il colore verde dell’olio. Un interrogativo che parve ammettere una facile replica, ma così non fu.

Ancora attorno ai cinque anni, nei bambini, spiegazioni razionali o intellettuali non sono di facile comprensione, e la regola della logica o della ragione è spesso insoddisfacente.

Seguono, dunque, fiumi di “perché”, fino a quando il bambino non avrà soddisfatto la propria curiosità, o riterrà adeguata una fra le molte risposte. Ecco che il genitore, o l’adulto in genere, abbisogna di quella chiarezza semplificativa che lo avvicini al bambino, restituendogli, ad esempio, un ulteriore quesito che lo aiuti ad attivare e accrescere la propria capacità di ragionamento.

“Perché l’olio è verde?”

“Tu sai da cosa è fatto l’olio?”

“Da cosa è fatto?”

“Da una spremuta di olive. E di che colore sono le olive?”

“VERDI!”

“Ecco; l’olio è verde perché è fatto con le olive.”

…. … “Perché le olive sono verdi?”. …

Il tuo bimbo ha già iniziato la fase dei “perché”? Qual è stato il “perché” più curioso? Scrivilo qui sui commenti.

Di Marianna Guerrazzi

La creatività non ha margini.

Oggi, dopo che Hervé Tullet, l’artista autore e illustratore di letteratura per bambini francese, con il suo appello a voler fare delle nostre case delle gallerie d’arte con i lavori dei bambini, per stimolarne la creatività in maniera sana e rispettosa, mi sono chiesta (ancora una volta) dove stia andando la nostra scuola, e nello specifico quella dei più piccoli.

Osservo, e ascolto, che alla scuola dell’infanzia come al nido, è demandato il compito di proporre e somministrare ai bambini schede precostituite, da colorare entro margini che appaiono come confini. Confini che non contemplano le spontaneità, le creatività, le libere espressioni, le fantasie di quella complessa arte che è l’essere bambini.

Quello che occorre ad un bambino è l’esperienza viva.

Chiediamoci dunque cosa possa provare un bambino posto difronte a una scheda che tutto contempla, meno sé stesso e ogni altro suo sentire.

Immagino dell’avvilimento, della costrizione se, e sopratutto quando, le consegne rappresentate sono estremamente rigide, gli oggetti poco comuni o mai esplorati. Meglio sarebbe condurli in giardino, fotografare con gli occhi un cesto di castagne dopo averle raccolte, provare a sentire che effetto fa un riccio toccandolo con la propria manina; sviluppare e mettere in ordine, restituendone la consequenzialità del tempo che scorre, dunque della stagione che passa e dopo, solo dopo, chiedere a questi piccoli esploratori di farsi artisti, mettere in arte le proprie scoperte, liberamente.

A chi e a che cosa serva il “margine”, non è certo abilità rivolta al bambino o all’arte nel bambino.

Il “margine”, il “confine” alimenta il genitore ed il seme della competitività, dell’idea erronea che il non trasbordare oltre rappresenti una competenza da restituire al bambino in sorrisi ed esclamazioni di compiacimento. Ma la verità è che forse non serve a nessuno.

La prescolarizzazione, se precoce o forzata, non è mai un bene.

Il bambino ha dalla sua parte il tempo. Ecco che vivere, fare esperienza attraverso sé stesso, senza risparmiarsi, fuori da percorsi battuti, da margini e confini, rappresenta ancora l’essenza dell’essere.

Tullet dice ancora che il diritto ad annoiarsi, ad arrovellare i pollici, è un sano momento dopo il quale ripartire e scoprire il mondo.

Lasciamo dunque che i bambini siano liberi di esplorare una formica, perché è da quella che impareranno la laboriosità, il percorso, il margine, e non da una scheda inanimata che regala a noi adulti attimi di silenzio irreali.

La routine, perché è importante oggi mantenere dei rituali con il tuo bambino.

Oggi che le giornate delle famiglie sono state radicalmente trasformate, più che mai è importante mantenere una routine con il proprio bambino; questo lo aiuterà a scandire lo scorrere del tempo, a possedere una sorta di bussola vitale per la sua serenità. Generalmente, la routine calma il sistema nervoso e favorisce uno stato d’animo tranquillo. La scansione dei tempi e l’organizzazione permette di orientarsi all’interno di queste lunghe giornate che spesso, anche in noi adulti, sembrano dilatarsi in vuoti incolmabili.

Mantenere o creare oggi dei rituali nei vari momenti quotidiani permette di offrire ai bambini dei riferimenti che gli consentiranno di prevedere con certezza cosa sta per accadere, offrendo un senso di sicurezza e controllo sulla realtà circostante, evitando, attraverso l’anticipazione, reazioni che vengono interpretate altrimenti come “capricci”.

Per il bambino, sapere che al risveglio si possa fare finalmente colazione tutti assieme e poi lavarci e vestirci, oggi più di ieri, è una opportunità di crescita interiore e familiare.

Non lasciamoli dunque in pigiama, ma prepariamoli a vivere una nuova, lunga giornata dignitosamente.

Ancora, nell’ora del pranzo, possiamo apparecchiare, collaborare, dare e ricevere consigli; come alla sera, un momento prima di andare a dormire, organizzare uno spazio lettura fatto di luci basse e soffuse, di libri e coccole.

Sono solo piccoli esempi che aiutano a comprendere il valore del tempo e l’opportunità del momento.

Ogni famiglia adotterà le proprie routine in base alle proprie esigenze, certo, non confondendo però le routine con il concetto errato di “tabella di marcia”.

Per il bambino sarà rassicurante seguire le routine quotidiane come per noi sarà importante cinturare e scandire il tempo che passa attraverso l’orologio.

IN CONCLUSIONE

Instaurare delle routine con il tuo bambino è importante per svariate ragioni:

• Aiuta il bambino a capire cosa sta per accadere nei vari momenti della giornata, senza alterare l’ordine del tempo che oggi stando a casa è molto più dilatato.

• Genera sicurezza interiore.

• Aiutano il bambino ad orientarsi.

• Quando torneremo (spero presto) alla normalità, il bambino sarà consapevole che la routine resterà la sua certezza quotidiana.

Facciamo finta che.. perché il gioco simbolico è importante

Attorno al primo anno di vita e per tutta l’età prescolare il gioco dei bambini diventa simbolico. Si caratterizza, insomma, per una sorta di rappresentazione fantasiosa della realtà attraverso la quale il bimbo struttura il proprio sviluppo cognitivo, sociale e affettivo.

Quando il bambino prende atto delle sue competenze e acquisisce confidenza con il movimento e con il linguaggio, adotta un comportamento ludico caratterizzato dalla finzione, dall’interpretazione, dall’assunzione di ruoli. Verso i 24 e i 30 mesi, capita di vedere bambini sotto ai 18 mesi già pronti per giochi simbolici, il gioco simbolico diventa lo strumento conoscitivo ed espressivo attraverso il quale il piccolo cresce sia dal punto di vista cognitivo, sia per quanto riguarda la sfera sociale, sia per ciò che concerne l’aspetto affettivo.

Fanno parte di questa categoria tutti i giochi di ruolo:

Il far finta di…le bambole, i peluche, i burattini, i pupazzi…i giochi che riproducono il mondo di chi si prende cura di loro.

Quali attività

⁃ Giocare a cucinare

⁃ Giocare a far la spesa

⁃ Giocare al pic nic

Crescendo il bambino affina la sua esperienza del mondo, il gioco simbolico diventa più complesso e assume nuovi significati che vanno ben oltre la semplice imitazione del comportamento degli adulti.

Cos’è la Learning Tower

Ultimamente si sente spesso parlare della Learning Tower, cioè la torre dell’apprendimento L’argomento mi ha molto incuriosita ed ho voluto approfondire.

La Learning Tower , cos’é?

Potremmo definirla una scaletta con pedana per raggiungere la cima ed evitare cadute. Di per se è un elemento molto semplice ma utile per rendere i bimbi indipendenti. Il suo scopo è poter permettere ai più piccoli, la possibilità di raggiungere anche i mobili più alti, a volte inaccessibili.

Inoltre é il supporto giusto per rendere i bambini il più possibile autonomi. Potranno lavarsi le mani da soli nel lavandino e potranno aiutare la mamma a preparare la cena, molto utilizzata per coinvolgere i bambini nelle attività di cucina, diventerà un piacere preparare la cena o tanti dolci.

Perché utilizzarla ?

• è un modo sicuro per dare la possibilità ai nostri piccoli bambini di stare alla nostra altezza.

• Con la Learning Tower hanno modo di accedere agli scaffali più alti e soddisfare la voglia di arrampicarsi, una delle cose più attraenti per un bimbo alla scoperta delle sue potenzialità motorie.

• la Learning Tower è facilmente accessibile e soprattutto gli regala un solido equilibrio che con una sedia normale o uno sgabello non è neanche lontanamente immaginabile.

• vederli salire e scendere in maniera del tutto autonoma, regala loro un’autostima e una consapevolezza maggiore dei propri mezzi, in una fase della loro vita in cui sono perennemente alla scoperta di cose nuove.

A che età si usa una Learning Tower?

Una Learning Tower si inizia ad usare nella fase successiva ai primi passi quando il bambino ha una sua stabilità e inizia ad arrampicarsi. Il metro di misura? una volta che il bambino riuscirà con successo nella scalata del divano di lì a poco sarà pronto per approcciare alla Learning Tower, più o meno dei 18 mesi di età .

E sarà un oggetto che potranno utilizzare a lungo fino ai 6 anni.

Alcuni modelli

Learning Tower

Dubbi e perplessità dell’allattamento.

Uno degli argomenti più discussi dalle donne in maternità riguarda il periodo dell’allattamento; considerato forse il più delicato, faticoso ed introspettivo della vita, questo necessita di calma e serenità, ma anche di una attenta riflessione nei confronti di sé stesse, delle proprie vulnerabilità e capacità, del proprio vissuto e del mondo che le circonda. L’inizio è forse il momento più delicato poiché rivoluziona le priorità personali. Da un punto di vista emotivo esso scuote, ribalta gli ordini, rivoluziona. Durante l’allattamento la donna assume una posizione subalterna al bambino, svilendo il proprio ruolo di donna. I buoni propositi avuti prima del parto parranno adesso crollare, e la naturalezza immaginata, il corso che si è seguito con tanta attenzione, i consigli e gli appunti presi, vacillano sotto il peso di emozioni nuove, o dovremmo dire di emozioni sopite, antiche, ancestrali; emozioni legate alla cura ed alla crescita di sé, bambine a loro volta un tempo. È in atto un cambiamento ed una nuova consapevolezza con la quale bisogna fare i conti. Ci si trova sole col proprio bambino e ci si sente più fragili. È necessario che chi circondi in quel momento la mamma sia altrettanto consapevole e collaborativo nel considerare tutti questi aspetti, che ricordi costantemente le figure di donna, di mamma e di donna mamma, che non colpevolizzi le incertezze che ella prova sulle proprie capacità e sia fiducioso del buon operato, gratificando ogni sforzo e lodandola. Questa nuova intimità, questo nuovo rapporto di simbiosi col bambino, andrebbe inoltre supportato da una serenità che giunga dal luogo ove si allatti abitualmente. Come il ricordo d’un luogo romantico dove si sia dato il primo bacio da ragazze o si sia detto “ti amo” quella lontana prima volta, così l’angolo che si disporrà per allattare dovrà considerarsi importante, accogliente, caro come appunto un ricordo amato.

Sarà inoltre funzionale, comodo, semplice e rilassante. Un luogo nel quale imparare ancora tanto.

Sommersi dai giocattoli.

Si avvicina il Natale, mamme, papà, nonni, zii, tutti alle prese con l’acquisto di un dono speciale.

Ma, tanti regali e tutti insieme confondono e stimolano eccessivamente il bambino.

La giusta strategia sarebbe donarli uno alla volta, risvegliando così il suo interesse.

Alcune strategie

-Orientiamoci verso giocattoli adatti all’età del bambino, non quelli che potranno essere utilizzati solo dopo mesi o anni, ma neppure quelli troppo elementari per la loro età.

-Offriamo al bambino pochi giocattoli. Quando il bambino avrà esaurito il proprio interesse possiamo sostituirli con altri.

-Spesso i bambini sono attratti da oggetti comuni. Un bambino può stare per ore a giocare con una scatola di cartone, dei pezzi di carta, un mestolo. Con la sua fantasia riuscirà a trasformare questi oggetti in magia.

– I giochi dovrebbero sempre avere una giusta collocazione. Utilizziamo scaffali a vista o un grande contenitore, dove posizionare pochi giochi. Tanti giocattoli sparsi per la stanza e in giro per la casa confondono il bambino, lo abituano al disordine e non gli permettono di scegliere.

– È importante orientare parenti e amici.Una sana comunicazione abituerà tutti a questa consuetudine.

Ciò che muove il bambino all’attività è un impulso interiore primitivo, quasi un vago senso di fame interna, ed è la soddisfazione di questa fame che lo conduce a poco a poco ad un complesso e ripetuto esercizio dell’intelligenza nel comparare, giudicare, decidere un atto, correggere un errore.”

Maria Montessori

Apriamo bene le orecchie

Immagine dal web

Ascoltare un bambino significa mettersi alla sua altezza e guardarlo negli occhi, non interromperlo quando parla. Perché saper ascoltare i bambini contribuisce a infondere loro gioia, sicurezza di sé e autostima.Ascoltare una persona in generale significa sospendere il nostro tempo e i nostri giudizi per concentrarci solo su quello che ha da dirci e accogliere con attenzione le sue parole.

 Proprio come un adulto a cui dedichiamo il nostro tempo , anche i bambini hanno bisogno di essere ascoltati in un tempo dedicato solo a loro e senza essere giudicati. 
Mettetevi fisicamente alla sua altezza
Quando il vostro piccolo ha qualcosa da dirvi, mettetevi seduti o in ginocchio, in modo da essere alla sua altezza e poterlo guardare dritto negli occhi. I bambini in questo modo capiscono che siete davvero interessati a comunicare con loro e pronti ad accogliere le loro parole. Non fate mai trapelare impazienza o fretta.
Non anticipate quello che ha da dirvi
Cerchiamo di evitare di interromperli mentre parlano , lasciamo che da soli trovino le parole per comunicare.

Spesso i bambini incespicano, faticano a trovare le parole, si dilungano in particolari per noi inutili: questo è il loro modo di comunicare e va accolto e rispettato”.
Quando voi dovete dirgli qualcosa indicate le sue “orecchie”
Quando desideriamo che ci ascolti indichiamo le orecchie ,per un bambino è qualcosa di astratto; se gli dite che vi deve ascoltare con attenzione, non capirà bene quello che significa. E’ fondamentale quindi riportare il concetto astratto su qualcosa di pratico, indicate le sue orecchie e ditegli: “Bene, ora apriamo le orecchie” Il richiamo a una parte concreta del suo corpo lo aiuterà a comprendere cosa vuol dire “ascoltare”.
Ogni giorno dedicate del tempo esclusivo all’ascolto.
Possono bastare anche solo dieci minuti, l’importante è però che siano esclusivi: abbandonate cellulari, computer, radio, televisione. Dieci minuti durante i quali farvi raccontare la giornata o giocare con loro senza distrazioni.

Questo breve tempo esclusivo è preziosissimo, è un tempo di qualità perché è assoluto e fa capire loro quanto mamma e papà sono li per lui.

I bambini possono imparare ad ascoltare sono se prima hanno imparato ad essere ascoltati . 

L’albero dei ciucci

Esiste una tradizione danese, nota anche in molti altri Paesi dell’Europa settentrionale, secondo la quale per dire addio al ciuccio, il bambino lo appenda al ramo di un albero, ma non un albero qualunque, bensì “l’albero dei ciucci”.
È una tradizione molto bella perché fornisce un luogo nel quale andare con i propri genitori ad effettuare un rito di passaggio. Togliere il ciuccio non è un’operazione semplice e la creazione di un rituale può quindi essere di grande aiuto. 
Ma quando è ora di togliere il ciuccio? 
Di norma, attorno ai 24 e i 36 mesi. 
Perché è importante che ciò avvenga? 
Innanzi tutto perché superati i tre anni le possibilità che l’uso del ciuccio causi deformazioni al palato e vi sia inoltre una crescita anomala dell’osso mascellare è molto alta.

In secondo luogo perché ritarderebbe il superamento alla fase orale, ovvero a quella della suzione quale risoluzione alle emozioni che invece andrebbero ora espresse, esternate, rese chiare dal linguaggio.
Un consiglio prima di affrontare questa delicata fase della crescita, sarebbe quello d’avere l’accortezza nel non far coincidere lo stesso con altri cambiamenti importanti, quali per esempio la nascita di un fratellino, un trasloco o l’inizio della scuola materna. 

Si scelga un momento della vita del bimbo nel quale goda di buona salute e sia sereno. 

Un modo per disabituare gradualmente il bambino sarebbe quello del limitarne l’utilizzo consapevolmente. Le limitazioni andrebbero concordate assieme, proponendo di utilizzarlo solo in alcuni momenti della giornata e di notte. 
Prima di effettuare questo vero e proprio rito di passaggio il genitore deve essere certo di voler attuare il cambiamento per non generare confusione nel bambino, quindi rendere ancora più arduo il compito nel futuro.
Nei giorni immediatamente successivi al primo, potrebbe essere d’aiuto impegnarlo più del solito perché si distragga dal pensiero del ciuccio. Coinvolgerlo in attività piacevoli, magari consentendogli di sperimentare nuove piccole esperienze “…ora che sei diventato grande, aiuti la mamma a fare i biscotti e la pizza!”, oppure l’utilizzo di materiali nuovi per le attività creative, potrebbe ancora essere la strada migliore e la più arricchente al contempo.

Il bello del portare. Testimonianza in fasce. 


Da un bisogno naturale a vera e propria corrente di pensiero; da umile corredo a rinomata opera d’arte. Nel corso della nostra storia di madri, il “portare” su di sé il proprio bambino grazie all’ausilio di supporti, ha assunto connotati diversi in base alle ere che si sono avvicendate, alle diverse regioni geografiche, e per certi aspetti, al ceto sociale d’appartenenza.

Come molte altre specie di esseri viventi con prole però, ciò che è rimasto immutato è il bisogno primario di contatto madre-figlio.

Oggi su suggerimento di Silvia, voglio sottoporre a voi lettori una domanda: cosa conosciamo davvero del “portare” e cosa ci spinge a intraprendere questa strada a ritroso in un’epoca votata all’high-technology.

Da rudimentali supporti in corteccia d’albero, fibre intrecciate, morbide semplici stoffe, elaborate sete cinesi per i preziosi MeiTai, la parola d’ordine era ed è “praticità”. Ciò che sappiamo in più oltre l’evidente, è il soddisfacimento di quel bisogno fondamentale di contatto che dicevamo, e che regala sicurezza al bambino ed alla madre, perpetuando le condizioni gestatorie dei loro primi mesi insieme, come la nostra Silvia che ha voluto condividere con noi della Cicogna la sua testimonianza, ovvero la scelta legata al bisogno di restituire ai suoi piccoli quel contatto interrotto, ristabilendolo attraverso il “portare”.

Silvia è madre di due gemelli nati prematuramente che il tanto amore di mamma ed una soffice fascia hanno saputo colmare dalla precoce venuta al mondo.
“Samuel e Nicoló, due guerrieri nati di trentacinque settimane più uno; troppo presto e troppo piccoli; ventotto giorni di terapia intensiva lontani dalla mamma e dal papà. Nessun animale, in natura, farebbe dormire i propri cuccioli lontano da sè. Ventotto giorni in incubatrici e letti separati dopo tutta una vita nella stessa pancia, così all’improvviso. Tornati a casa, avevamo bisogno di riprenderci quello spazio e quel tempo mancato. La fascia li ha rimessi insieme. Addosso alla mamma ed al papà. Stretti, contenuti, nello stesso odore e nello stesso corpo.

E ancora oggi per coccola e per necessità, si sale addosso alla mamma, che li porta sulla sua schiena e sul suo cuore fin quando lo vorranno”.