I “capricci”esistono per davvero?

Il capriccio è un argomento molto dibattuto. Ma esiste poi davvero il capriccio?

Quante volte ci è capitato di assistere a scene di bambini piangenti, urlanti e saltellanti come se il mondo avesse fatto loro la più grossa delle crudeltà?

Iniziamo dicendo che è un comportamento fisiologico che si manifesta sopratutto nei bambini al di sotto dei tre anni.

I bambini in questa fase vivono un turbinio di emozioni che faticano a gestire o comprendere.

Il capriccio può essere però senza dubbio definito, fra i comportamenti fisiologici, una vera e propria crisi di rabbia.

Risulta essere più intenso quanto più si è vicini al diciottesimo mese di vita, per pian piano perdere di intensità verso i tre anni e mezzo.

In questo momento evolutivo, il bambino inizia a individuarsi, raggiungendo una consapevolezza di sé maggiore, differenziandosi dall’altro. Acquisisce una nuova contezza, sia fisica che mentale, imponendo il proprio volere, contrapponendolo in difesa delle proprie ragioni.

Non stiamo parlando, come erroneamente accade, di manipolazione dell’adulto; semplicemente, questi esercita la propria autonomia, sperimentandola attraverso i no e le opposizioni, facendo in modo che vada delineando la propria personalità.

Non possiamo immaginare un percorso differente per la creazione di personalità se non attraverso l’opposizione e la messa in discussione.

Il bambino ha diritto di opporsi, e l’adulto non può far altro che accogliere questa sua opposizione, restituendo il senso del “Comprendo che adesso non hai voglia di fare questa determinata cosa, ma dobbiamo proprio farla”.

In questo modo preserviamo la capacità del bambino di dire no, affermandosi nel percorso di crescita.

Gli adulti incapaci a dire di no, non furono bambini educati in tal senso.

Preservare nel bambino questa capacità, considerandola da una giusta posizione, aiuta anche noi adulti a non porre questa opposizione su di un piano personale.

Capita di non sentirsi ascoltati dal bambino, che fa dunque “ciò che vuole”, ma questo rimando riguarda la nostra vita interiore e non il bambino opponente. Pretendere di risanare le nostre ferite attraverso un atteggiamento accondiscendente da parte del bambino, comporta una sottrazione di personalità, una elemosina d’amore: asseconderà il nostro desiderio, il nostro imperativo, pur di ricevere l’amore che da noi soli può giungere, a discapito di sé stesso e del suo sentire.

Se poi si pretende che attraverso il bambino accondiscendete si possa affermare una qualunque capacità genitoriale, si vuol caricare il bambino di una forte responsabilitá che non gli compete.

Invece, sarà compito dell’adulto, genitore/educatore, valutare se e quando un no possa essere assecondato o meno, o altrimenti aiutato a comprendere che quella determinata cosa non va proprio fatta, per la sua sicurezza (dare la mano attraversando la strada) o per educazione (non spingere il compagno di giochi).

Durante una crisi di rabbia il bambino si disgrega, fatica tenere assieme le parti di sé. Il dolore che prova è reale, non avendo la capacità di gestire da solo questo stato emotivo.

Il bambino, in età prescolare, non avendo ancora sviluppato altre capacità cognitive, sociali, relazionali, tende a manifestare le proprie espressioni di rabbia a livelli molto primordiali. Ciò accade soprattutto in famiglia, perché è l’ambiente che percepisce fiducioso alle relazioni.

Crescendo, e con l’acquisizione di competenze anche linguistiche, il bambino inizierà a spiegare ciò che sente e prova, e sarà più semplice per lui dare un senso alle cose che gli accadono attorno.

Nella gestione di queste crisi è buona regola il prevenirle. Osservare il proprio bambino, cercare di individuare quali sono le circostanze che possano scatenare certe situazioni, questo vi aiuterà certamente a farne fronte. Molto spesso le crisi avvengono quando un bambino è stanco o stressato, quando è stato esposto a troppi stimoli; ecco allora che ridimensionando l’ambiente, gli stimoli, le necessità fisiche come il sonno o la quiete, permetterà un controllo efficace alle emozioni, dal bambino altrimenti ingovernabili.

E quando ormai la crisi è innescata, è utile supportare il bambino attraverso il rispecchiamento emotivo: “So che vorresti continuare a giocare, ma adesso è ora di andare a riposare”.

Sostenerlo emotivamente lo aiuterà a calmarsi, così come lo stargli vicino, affinché il piccolo non si senta lasciato solo in un momento di grande bisogno, anche se la regola o la negazione è dettata da noi stessi. Essere dunque compreso, accettato ed amato in modo incondizionato, dirà al bambino che l’amore dei genitori è più forte e potente delle intense sue emozioni, ma anche che il momento va affrontato, e possibilmente accettato, perché è altro dal rapporto che intercorre fra i soggetti.

“Quando rispecchiate i sentimenti di un bambino diminuite l’intensità della sua rabbia, perché egli si sentirà soddisfatto nel sapere che è al centro della vostra attenzione, e che dunque è stato compreso.”  M.L. Brenner

Concludiamo dicendo che il capriccio in realtà non esiste; è solo un messaggio, comunicato a noi adulti, di aiuto e supporto e sostegno, di attenzione.

È desiderio di essere visti e compresi.

Ricordiamoci, come abbiamo detto all’inizio, che il capriccio è un processo fisiologico che non durerà per sempre, è che come lo affronterà, e cosa riuscirá ad apprendere, dipenderà molto da noi adulti.