La consapevolezza di essere padre, dubbi e certezze.

Quando mi venne chiesto di scrivere sulla figura del padre, immaginai dapprima un lavoro imponente, una analisi impersonale, una produzione letteraria inesauribile, che si ridusse poi alle righe che seguiranno. Mi ero detto che per scrivere con serietà sull’argomento, bisognava farne una indagine sociale e culturale vasta quanto il mondo, dettagliata e meticolosa, storica e geografica, dunque multiculturale. Non ho abbandonato l’idea del cimentarmi un giorno in tale impresa, ma io di mestiere faccio il marinaio e il poeta, non il saggista. Dirò soltanto che evocai dalla nostra parte, dalla parte del padre appunto, parole che appartennero, ahimè, al travagliato mondo delle donne, ma che sentii mie la notte stessa che nacque mio figlio. Parole necessarie, che accompagnarono la lotta alla parità politica e sociale ed economica delle donne, appunto; parole in salita, che con la loro forza livellarono il diritto a esser voce, una voce che scopriremo esser la più forte. Parole conquistatrici che su noi uomini, sulle nostre arroccate posizioni, ridiscendono oggidì la china donandoci un nuovo slancio, una ritrovata libertà e parità, un nuovo e più autentico modo di esser padre. Una rivoluzione insomma.

Possiamo affermare, invero, che cento anni di battaglie al femminile produssero un certame inverso e bellissimo, per noi gratuito e liberatorio. Abbiamo poco o nulla più da dimostrare, poco o nulla più di che mentire a noi stessi. Accudimento, nutrimento, tenerezza, amor palese, albergano al cuore dell’uomo che non ha dismesso la veste del padre, con tutto quello che ciò voglia significare, ma ne hanno arricchito per sempre il compito.

Personalmente ho provato, per un tempo infinito, un senso di colpa cosmica nell’avere attratto a me una coscienza che forse vagava libera nell’universo. Per un tempo infinito, mi sono chiesto da quale stella provenisse mio figlio. C’era un modo per ripagare le forze in gioco?E come espiare il dolore di sua madre che non potei dividere, condividere?

Forse, ancora cinquant’anni fa, non avrei avuto risposte o possibilità di riscatto. L’impossibilità nel poter mostrare al mondo la volontà d’accudimento mi sarebbe stata preclusa dal rispetto alla figura di uomo e di padre dettata dai canoni del tempo nei quali il solo duro lavoro ripagava ogni cosa. Non voglio certo affermare che non amassimo i nostri figli e non avessimo a cuore le loro madri, ma di strada dovevamo ancora farne prima di poter mettere le mani a un pannetto e non venir giudicati per questo; prima di poter assistere alla nascita di un figlio e non scordare mai più chi fosse la donna che si ebbe al proprio fianco. Questa la battaglia inversa, intrisa di parole per la quale esser grati.

La quotidianità e l’impegno tendono ad assopire l’introspezione. La consapevolezza dell’importanza di essere padre riemerge a fatica dalla pratica. Le notti insonni e condivise allontanano dalla riflessione. La conquistata posizione in seno alla famiglia, ripagata sempre dai risultati, non concede tregua all’uomo padre. Siamo più stanchi, più autentici. Ecco che, talvolta, se non interrogati come me adesso, dovremmo poter trovare il modo per interpellare la nostra coscienza e chiedere a noi stessi chi siamo, cosa rappresentiamo, quanto abbiamo da difendere ancora, da dare e da ricevere. Siamo in continuo mutamento, sempre più importanti, sempre più necessari, sempre più fragili, laddove per fragilità si intenda non già quella di una figura frangibile, bensì quell’altra all’occorrenza delicata.

Non sostituiremo mai il simbolismo materno, né lo vorremmo d’altronde, ma l’aver colmato lo spazio vuoto tra il sentimento e la dimostrazione di questo, l’aver reso manifeste a noi stessi le capacità accudenti, getta luce alle nostre vite di uomini di sempre.

Se indago scientemente il messaggio della vita, questa è tramandare. Se sublimo la vita alla condizione umana, questa è tramandare non solo sé stessa ma la consapevolezza di ciò che è bellezza. Essere padre umano contempla i due aspetti, i due messaggi: tramandare il proprio genoma; tramandare tutta quanta la conoscenza e l’individuazione alla bellezza; farne parte; essere soggetto libero e attivo della vita che rinasce.

Quando mi venne chiesto di scrivere sulla figura del padre, immaginai una analisi impersonale; qualcosa di impossibile. Essere padre è meraviglia, riconoscenza, accettazione, impegno personale, amore nei confronti di chi è diverso da noi.

Il senso di colpa, magari mio soltanto, dell’essere stato cagione della venuta al mondo di un figlio che ho desiderato, invocato, trova il proprio riscatto nel donare a questo mondo imperfetto una coscienza rinnovata, forte, consapevole. Uno spirito sapiente.

Un padre è chi è custode alla magnificenza.

F.D.